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Dopo gli arresti, le minacce: “Via da Tor Bella Monaca!”

Donatella D'Acapito il . Dai territori

Stavolta è toccato a Sara Mariani, giornalista della trasmissione di Rai3 Agorà, subire minacce mentre cercava di fare il suo lavoro. Siamo a Tor Bella Monaca, un pezzo di Roma che ricorda le Vele di Scampia. Ci trovi le vedette e gli spacciatori; ci trovi i palazzoni inaccessibili a chi non è del posto perché sotto, i palazzoni, diventano mercati e magazzini improvvisati. Tor Bella con le mamme che portano i figli a scuola e non guardano, come non guardano i negozianti, i passanti, i ragazzi che si fermano in piazza.
I Carabinieri hanno definito questo silenzio di superficie “impermeabilità informativa”. Come a Scampia, qui si mischiano delinquenti e persone per bene che, spesso, se non vedono, non sentono e non parlano, lo fanno solo per paura. Quella che avrebbe chiunque nel sentirsi solo in un rione all’apparenza normale, ma dove basta fare una cosa “non autorizzata” -come provare a raccontare quello che succede tutti i giorni nell’indifferenza forzata del posto – e ti trovi addosso un “guardiano” che ti dice a brutto muso che “te ne devi annà”, sennò sono guai.
Sara è arrivata qui il giorno dopo che i carabinieri del Gruppo di Frascati avevano eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia. Il provvedimento ha riguardato 33 persone, di cui 4 donne, appartenenti a un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico che proprio nel quartiere aveva la sua base operativa. Operazione “Torri Gemelle”, l’hanno chiamata. Due anni di indagini condotte dai Carabinieri della Stazione di Tor Bella Monaca che hanno permesso di accertare come lo spaccio di stupefacenti avvenisse tutti i giorni, dalle prime ore del mattino sino a tarda notte, con veri e propri turni di “servizio” svolti dai vari pusher negli androni condominiali e nei parcheggi di due palazzine popolari contigue di via San Biagio Platani, luoghi divenuti un vero e proprio “supermercato a cielo aperto” del traffico di stupefacenti. Un’attività che prevedeva la presenza di vedette per controllare e dare l’allarme, nel caso in cui fossero arrivate le “guardie”, di cassieri che riscuotevano mentre c’era chi riforniva lo spacciatore che stava per iniziare il turno e che era disponibile solo per acquirenti anche loro indottrinati, che sapevano di dover arrivare rigorosamente a piedi in piazza per poi aspettare di essere avvicinati dal pusher in servizio.
Ecco: Sara voleva far vedere i posti in cui tutto questo avveniva, ma appena si è aperto il collegamento con lo studio di Agorà è stata raggiunta da un uomo che in modo veemente le ha intimato di andarsene e di spegnere la telecamera. Inutili le sue risposte: “Siamo su luogo pubblico. Se non vuole, non la riprendo”. Sara ha dovuto interrompere il collegamento e se n’è dovuta andare. Solo in macchina ha potuto ripristinare il filo diretto con lo studio e, mentre si dirigeva verso i palazzoni conosciuti come “R” e “M”, ha raccontato delle minacce subite da lei e dal suo operatore. Minacce sempre più pesanti.
Immediate e numerose le manifestazioni di solidarietà per i due e di condanna per l’uomo che li ha intimiditi. Immediata anche la risposta delle forze dell’ordine che, sentite subito dalla giornalista, hanno garantito che avrebbero approfondito l’accaduto.
Ma il miglior modo di manifestare solidarietà, è quello di raccontare le cose.
Non è una zona facile, questa: Tor Bella Monaca appartiene al municipio di Roma (il VI) che conta oltre 360mila abitanti, il più alto tasso di persone agli arresti domiciliari o destinatarie di misure di prevenzione e il maggior numero di minori in affidamento o sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Ragazzi per cui l’istruzione non rientra nelle priorità delle famiglie o del contesto sociale che sono abituati a respirare. Così, nonostante il VI municipio ospiti la seconda università romana, quella di Tor Vergata, e uno dei teatri di cintura (quello di Tor Bella Monaca, appunto) è sempre qui che si registra il più alto tasso di dispersione scolastica per la scarsa presenza di scuole elementari e medie.
Le istituzioni faticano a farsi sentire, anche perché è oggettivamente difficile – ad esempio – immaginare un reale controllo del territorio quando c’è un solo commissariato per un’area pari a 113 km quadrati.
Più capillare, invece, la presenza dei gruppi criminali, in primis quello dei Casamonica, un tempo nomadi ma oggi stanziali, dedito all’usura, alla ricettazione, allo spaccio di stupefacenti. Oppure il clan camorristico dei Moccia che, vista la disponibilità ampia di fare affari che Roma permette si muove senza contrasti con gli altri gruppi “secondo il patto di non belligeranza stipulato fra le varie entità criminali” stipulato per evitare -come sostiene la Direzione distrettuale antimafia romana- la degenerazione di dissidi e “il rischio di attirare l’attenzione degli inquirenti e di minare il clima di indisturbata serenità in cui da tempo operavano”.
Grandi gruppi che subappaltano i “lavori” in un equilibrio trovato, almeno in apparenza – perché poi le sparatorie capitano, per cui qui tutti sanno e nessuno si lamenta. E non ci si lamenta neanche quando le cose accadono davanti ai bambini che, in questo modo, crescono respirando la intollerabile “normalità” di quel che avviene attorno a loro.
E i bambini c’erano mentre si spacciava in Via San Biagio Platani e poco prima che Sara e il suo operatore venissero minacciati.
Tutto normale, allora. Possiamo supporre che in situazioni del genere sia “normale” vedere a capo della gestione dello spaccio al minuto un ragazzo di 24 anni che ha già precedenti penali. Possiamo suppore che il fatto che abbia un curriculum criminale possa essere una garanzia per chi gli sta dietro; possiamo immaginare che questo giovane uomo, che probabilmente non ha nozioni di economia aziendale, abbia imparato per via endemica che gli affari funzionano meglio se a ciascuno è affidato un ruolo preciso e se chi si comporta bene (ovvero: vende tutto, riesce ad avvisare quando arrivano le volanti della polizia o le gazzelle dei carabinieri, conserva fedelmente le dosi già pronte, rispetta il capo) viene premiato e sostenuto in caso di difficoltà (leggi: sostegno economico e difesa garantita in caso di arresto), mentre chi si comporta male (ad esempio perché non sa giustificare l’ammanco di soldi o dosi, oppure perché arrestato da uomini in borghese) viene punito o abbandonato al proprio destino.
No, non è tutto normale. E ormai se ne parla, anche se vien più facile farlo quando le cose succedono lontano da noi. E non sono soli i giornalisti minacciati, come Sara, come non sono soli tutti quelli che cercano di fare il proprio mestiere, qualsiasi esso sia , e di fare la propria parte per costruire una società sana, civile.

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