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Costituzione: ma quale sarebbe il cambiamento?

Rocco Artifoni il . referendum e costituzione

Tutti i sostenitori del progetto di revisione della Costituzione tra le motivazioni a sostegno del cambiamento portano la necessità di … cambiare.
È una tautologia che sorprende ogni volta per la palese inconsistenza del ragionamento. Se fosse applicata a tutto, questa irragionevole spinta al cambiamento, potrebbe rivelarsi un vero disastro: cambiare vestiti, cambiare cellulare, cambiare banca, cambiare casa, cambiare paese, cambiare scuola, cambiare lavoro, cambiare famiglia, cambiare volto, ecc. Può essere positivo, ma anche no.
L’argomento del cambiamento non è un argomento valido. Per cambiare si deve dimostrare l’opportunità e la bontà del cambiamento. Ma allora si deve – necessariamente – ritornare ai contenuti, al merito delle questioni, al dettaglio delle modifiche, alle virgole delle parole, che possono essere pietre.
Tra coloro che parlano della revisione della Costituzione, quanti l’hanno letta? Il sospetto è che, non solo non si conosca il progetto di riforma, ma nemmeno la Costituzione vigente. Per cui ben venga il confronto e l’approfondimento, che almeno serva a tutti (sottoscritto compreso) a fare un bel ripasso del testo Costituzionale, per cogliere in profondità il significato del nostro “patto di cittadinanza”.
Poi parliamo della riforma, di chi la vuole, del perché la si propone, di che cosa davvero contiene, del come si è scelto di modificare articoli che riguardano questioni così diverse, mettendo tutto in un unico testo legislativo, al quale si potrà dire soltanto un sì o un no totale.
Comunque, anche quando si ritorna al merito delle questioni, l’argomentazione dei sostenitori della revisione, ricade subito nella necessità di cambiare: “è da decenni che stiamo aspettando le riforme: o adesso o mai più”, dicono quasi tutti.
A parte il fatto che negli ultimi 27 anni la Costituzione è stata modificata già 13 volte. Non basta? Quali sarebbero le altre riforme attese da decenni? E perché dovremmo cambiare proprio ora e perché in futuro non dovrebbe essere più possibile? “Il treno delle riforme passa adesso”, dicono. Ma prima di salirci si dovrebbe sapere dove porterà questo convoglio.
Al momento pare che la metà sia alquanto confusa. Il progetto di revisione, per fare un esempio, da un lato dà più potere ai rappresentanti delle Regioni inserendoli nel Senato, dall’altro limita le competenze legislative delle Regioni. Ma allora il treno va avanti o va indietro? La direzione sembra ambivalente per non dire contraddittoria. C’è il rischio che il treno finisca su un binario morto.
C’è una questione, infine, che lascia alquanto perplessi. Nel testo della riforma all’art. 122 è stato introdotto un tetto per i compensi spettanti ai consiglieri regionali “nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione”.
Anzitutto non si capisce perché si vuole introdurre in Costituzione, attraverso una correlazione, la determinazione degli emolumenti: non pare proprio un argomento di livello costituzionale. Per stabilire il compenso degli eletti dal popolo dovrebbe bastare una legge ordinaria, come già previsto dall’art. 69 della Costituzione: “I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”.
E se proprio si decidesse di introdurre in Costituzione la definizione degli “stipendi” dei politici, per coerenza bisognerebbe farlo per tutti, a cominciare dai parlamentari, che dovrebbero dare il buon esempio, con sobrietà e trasparenza.
Nel testo, però, degli emolumenti dei deputati non vi è traccia. Se ne saranno dimenticati? Se fosse questa una delle riforme attese da decenni, dovremmo dire che anche questa volta si tratta di un’occasione mancata.

Debito pubblico e revisione costituzionale

 

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