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La mappa della criminalità organizzata in Puglia

Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

È un quadro complesso quello della criminalità organizzata pugliese così come viene descritto nella relazione semestrale della DIA relativa al primo semestre del 2015.

I gruppi criminali, infatti, da un lato tendono a svilupparsi e consolidarsi negli assetti interni, dall’altro perseguono una politica espansionistica, alcune volte a scapito di altri sodalizi.

In questo panorama criminale, la Sacra Corona Unita risulta l’organizzazione meglio radicata sul territorio, in particolare nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Questa compagine associativa dimostra una forte capacità di rigenerarsi malgrado la defezione di diversi affiliati e l’azione di contrasto delle Istituzioni che ne hanno fortemente indebolito la struttura. Tutto questo grazie alla nascita di nuovi gruppi che portano energia vitale al sistema criminale.

In questo processo di rinnovamento la Scu sembra orientata a mantenere un “basso profilo” attuando una strategia che prevede l’intimidazione silente del tessuto economico e sociale, il condizionamento degli enti locali, le attività estorsive, l’usura e la gestione del traffico di stupefacenti.

La posizione geografica della Puglia agevola l’approvvigionamento delle sostanze, soprattutto eroina e marijuana, dall’Albania. E proprio il cospicuo traffico di droga ha consentito alla Sacra Corona Unita di intraprendere affari sia con la criminalità dell’Est che con le altre mafie nazionali puntando anche sul traffico di armi, di merce contraffatta, di rifiuti e di tabacchi lavorati esteri.

Per quanto riguarda l’aspetto strutturale, i clan della città di Lecce e dell’intera provincia si stanno riorganizzando in modo meno verticistico rispetto al passato. Nel capoluogo sono attivi molteplici ed eterogenei sodalizi delinquenziali e si registra una fase di stallo in quanto i gruppi dominanti sembrano risentire ancora dei numerosi provvedimenti giudiziari che hanno duramente colpito e disgregato i clan Briganti e Rizzo.

Nella provincia le indagini hanno confermato l’operatività dei “vecchi padrini della Sacra Corona Unita” che continuano a controllare i rispettivi territori.

Le operazioni di polizia giudiziaria denominate “Vortice-Déjà vu”, “Paco” e “Déjà-vu ultimo atto” hanno comprovato la presenza nei territori di Squinzano e Campi Salentina di un sodalizio mafioso, attivo soprattutto nel traffico di stupefacenti, capeggiato da esponenti di spicco dei gruppi criminali De Tommasi e Pellegrino.

I clan della Scu tentano di infiltrarsi nel circuito dell’economia legale mediante l’acquisizione di attività commerciali, in particolare bar e ristoranti, e impongono le estorsioni anche attraverso l’obbligo per gli imprenditori e i commercianti di assumere affiliati all’organizzazione criminale.

Quanto descritto indica la capacità di controllo del territorio da parte delle organizzazioni di stampo mafioso salentine che concentrano le loro attenzioni anche sui nuovi settori economici dei giochi e videogiochi. Le apparecchiature elettroniche sono spesso imposte agli esercenti e verrebbero modificate sia in riferimento alla frequenza e alle modalità di restituzione delle vincite e sia rispetto ai collegamenti alla rete telematica gestita dai concessionari autorizzati ed al conseguente conteggio delle somme dovute all’Erario.

Questo è quanto emerso dall’operazione “Clean Game” del 24 febbraio 2015, conclusasi con il sequestro di beni per un valore di circa 12 milioni di euro e l’arresto di venti soggetti accusati di aver fatto parte di un’associazione di tipo mafioso, gravitante nell’area della Sacra Corona Unita. Il sodalizio controllava il gioco d’azzardo attraverso la commercializzazione di congegni elettronici e imponeva ai titolari degli esercizi commerciali l’installazione di apparecchi da gioco con schede truccate ed il versamento di una percentuale sui proventi illeciti, attuando così una vera monopolizzazione del territorio salentino.

I clan salentini sono fortemente operativi nel settore del narcotraffico, dimostrandosi in grado di tessere relazioni anche oltreoceano. Tanto emerge dall’operazione “White Butcher” che ha portato all’arresto di 7 soggetti, di cui due calabresi e un colombiano, finiti sotto inchiesta per aver costituito un’associazione per delinquere transnazionale finalizzata all’importazione e alla vendita di ingenti quantitativi di cocaina in parte destinati ad un gruppo salentino. La sostanza stupefacente, occultata sotto carichi di copertura, veniva nascosta in container a bordo di navi che salpavano dalla Colombia, dal Cile, dall’Ecuador e dal Perù dirette verso i porti di Gioia Tauro e Genova.

I clan attivi in provincia di Lecce sono in tutto undici.

A nord del capoluogo troviamo il clan Tornese (Monteroni di Lecce, Carmiano, Guagnano, Veglie, Leverano, Arnesano, Porto Cesareo e Sant’Isidoro); il clan Pellegrino (Squinzano, Trepuzzi); il clan Caramuscio (Surbo); il clan De Tommasi (Campi Salentina). A sud della capitale del Barocco sono operativi il clan Rizzo (Cavallino, Lizzanello, Melendugno, Merine, Vernole, Caprarica, Calimera e Martano); il clan Leo (Vernole, Melendugno, Calimera, Lizzanello, Merine, Castrì, Cavallino e Caprarica); il clan Coluccia (Galatina, Noha e Aradeo); il clan Padovano (Gallipoli); il clan Scarcella (Ugento) e il clan Montedoro-Giannelli-De Paola (Casarano-Parabita). Nella città di Lecce sono egemoni i clan Cerfeda-Briganti-Pepe e il clan Rizzo.

 

Nella provincia di Brindisi, gli storici gruppi della Sacra Corona Unita hanno accusato i duri colpi inferti dalla Magistratura e dalle forze dell’ordine nelle varie operazioni di polizia. Nella gestione delle attività illecite, alle storiche famiglie, si sono affiancati nuovi affiliati poco inclini a sottomettersi ai vecchi capi e desiderosi di ritagliarsi spazi autonomi. Nel capoluogo i clan Morleo e Brandi sono operativi nel traffico delle sostanze stupefacenti e nelle estorsioni, mentre la fazione guidata da Francesco Campana, nonostante sia disarticolata, continua ad essere attiva a Brindisi e provincia e gode di ottimi rapporti con altre famiglie importanti della Sacra Corona Unita come quelle dei Buccarella di Tuturano, dei Bruno di Torre Santa Susanna e dei Rogoli di Mesagne. E proprio a Mesagne è ben radicato il triumvirato mafioso Vitale-Pasimeni-Vicientino che vanta referenti anche in numerosi comuni del circondario brindisino.

La presenza oppressiva dei clan sul territorio è testimoniata dai diversi attentati dinamitardi ed incendiari verificatisi nel corso del semestre da considerarsi reati spia di estorsioni spesso legate ad attività usurarie. Traffico di sostanze stupefacenti ed estorsioni costituiscono i settori illeciti più remunerativi per i sodalizi criminali che possono contare su un’ampia dotazione di armi. Tutto questo è stato dimostrato dall’operazione “Uragano” portata a termine nel maggio dello scorso anno. Nell’occasione sono stati arrestati 40 soggetti appartenenti a tre distinte associazioni di narcotrafficanti, con a capo un mesagnese, già detenuto in quanto affiliato alla Sacra Corona Unita, con basi operative nel brindisino e con ramificazioni estese fino al Nord Italia.

Rilevante il ruolo delle donne, impegnate non solo per veicolare i messaggi all’esterno del carcere, ma anche per accompagnare i trafficanti nei viaggi per trasportare le sostanze stupefacenti fuori regione e per gestire la cassa comune del clan.

In tutto, tra Brindisi e provincia, operano cinque clan.

Il clan Vitale-Pasimeni-Vicientino (radicato a Brindisi, Mesagne, Ostuni, Fasano, Francavilla Fontana, San Pietro Vernotico, Cellino San Marco, Torchiarolo, Latiano, Oria, Ceglie Messapica, Villa Castelli e San Vito dei Normanni); il clan Campana-Rogoli-Buccarella (attivo a Brindisi, Mesagne, Ostuni, Fasano, San Pietro Vernotico, Latiano e Francavilla Fontana); il clan Morleo-Brandi (Brindisi); il clan Buccarella (Tuturano) e il clan Bruno (Torre Santa Susanna).

 

Anche a Taranto e provincia l’azione repressiva della Magistratura e delle forze di polizia ha inciso duramente sulla criminalità organizzata jonica, la cui struttura è adesso scomposta e disorganica. Si riscontrano comunque molteplici tentativi di ripresa delle attività illegali, conseguenti alla scarcerazione di alcuni personaggi di elevata caratura criminale.

 

Nella città di Taranto sono presenti numerosi sodalizi criminali costituiti da soggetti che, in molti casi, sono saldamente compattati attorno ad esponenti storici della criminalità tarantina, riconducibili alle famiglie D’Oronzo e De Vitis.

Nel maggio 2015 l’operazione di polizia denominata “Alias 2” ha colpito proprio il clan D’Oronzo-De Vitis, attivo nel traffico di stupefacenti, nel controllo delle attività commerciali e nella gestione illecita di appalti e servizi pubblici. Dalle indagini è emerso che due esponenti del clan avevano non solo il compito di dirimere le controversie sorte all’interno dell’associazione ma si erano prefissati anche l’ambizioso obiettivo di infiltrarsi nei lavori di rifacimento del Porto mercantile di Taranto attraverso la costituzione di un consorzio.

I vari gruppi criminali operanti nel capoluogo jonico si sono divisi le varie zone della città: i Pizzolla e i Taurino avrebbero le mani sulla “Città Vecchia”, i Diodato sulla zona Borgo, i Catapano ed i Leone sui quartieri di Talsano, Tramontone e San Vito, i Sambito, gli Scialpi e i Balzo sul quartiere Tamburi, i Modeo e i Ciaccia sul quartiere Paolo VI.

Gli equilibri precari nel panorama criminale tarantino sono testimoniati dalle sparatorie registrate a Taranto a inizio 2015 in seguito a regolamenti di conti per il controllo del traffico delle sostanze stupefacenti.

Nella provincia tarantina sono operativi quattro clan.

Il clan Locorotondo è attivo nei comuni di Crispiano, Palagiano, Palagianello, Mottola, Massafra e Statte; il clan Putignano-Caporosso è egemone a Massafra; nella parte orientale della provincia tarantina, da Lizzano fino al brindisino, opererebbero i Cagnazzo in accordo con i già menzionati Locorotondo; a Manduria, invece, sarebbe influente il clan Stranieri.

Questi clan operano nel settore degli stupefacenti e in quello delle estorsioni, con grande attenzione per il commercio dei prodotti ittici su cui vorrebbero allungare i loro tentacoli, come testimoniato da due diverse intimidazioni attuate nel gennaio e nel febbraio del 2015, ai danni di due pescherie, con l’uso di ordigni esplosivi.

 

Per quanto riguarda la città di Bari, si registra la presenza di molteplici gruppi criminali. Sono in atto tensioni e scontri, anche armati, che indicano segnali di riassestamento degli equilibri dei clan.

Al centro di queste situazioni di contrasto ci sono le giovani leve che ricorrono facilmente all’uso della violenza.

I quartieri più esposti a queste dinamiche criminali sono il San Paolo, dove la scarcerazione di esponenti del clan Telegrafo-Montani-Misceo potrebbe provocare scontri interni e l’ascesa di soggetti giovani e ambiziosi. Il sodalizio sarebbe entrato in contrasto con personaggi di caratura criminale inferiore, attivi nelle estorsioni al fine di reperire fondi per il mantenimento dei detenuti; il quartiere San Girolamo, Fesca/San Girolamo/San Cataldo caratterizzato da equilibri precari e in continua evoluzione. Questo territorio, negli ultimi anni, è stato al centro della faida familiare tra i Campanale (collegati agli Strisciuglio) ed i Lorusso (vicini ai Capriati). Gli attriti sono continuati anche nei primi mesi del 2015 con l’omicidio di Nicola Lorusso, avvenuto l’11 gennaio 2015.

Due ordinanze di custodia cautelare, emesse dal GIP del Tribunale di Bari il 12 gennaio e il 19 gennaio 2015, hanno colpito duramente i clan contrapposti.

L’ascesa nel quartiere del clan Lorusso è stata comprovata dalla Magistratura che, lo scorso 16 giugno, al termine di un processo, ha emesso condanne che prevedono pene fino a 13 anni per sei affiliati, tra i quali il capo clan, accusati di estorsione ai danni di commercianti del luogo. La situazione è in evoluzione e potrebbero verificarsi episodi violenti per la definizione delle gerarchie.

Anche nel quartiere San Pio-Catino si verificano scontri armati tra due gruppi appartenenti agli Strisciuglio, uno vicino alla criminalità del quartiere di Carbonara e l’altro a quella del quartiere Libertà. Al centro della contesa il monopolio dell’attività di spaccio nella zona nord della città.

La situazione sembra invariata nei quartieri di Carbonara e Ceglie del Campo, anche se il patto di non belligeranza tra i clan Strisciuglio e Di Cosola potrebbe saltare a causa dell’indebolimento di questi ultimi, oggetto di duri provvedimenti giudiziari.

Nel Borgo Antico, potrebbero verificarsi tensioni per il controllo del territorio tra i clan Strisciuglio e Capriati a causa della recente scarcerazione di alcuni esponenti dei sodalizi.

La situazione sembra stabile nel quartiere Madonnella dov’è presente il gruppo Di Cosimo/Rafaschieri e nel quartiere Japigia dove coesistono i clan Parisi e Palermiti.

I sodalizi baresi possono contare su una cospicua disponibilità di armi, spesso custodite da affiliati ai vari clan, utilizzate per commettere rapine, furti e scippi.

Una delle principali fonti di guadagno resta il traffico e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, insieme alle estorsioni e all’usura ai danni dei commercianti e degli imprenditori.

Riepilogando, nella città di Bari sono presenti 12 clan: il clan Lorusso (Bari San Girolamo, Fesca, San Cataldo); il clan Capriati (Bari Borgo Antico); il clan Velluto (Bari Carrassi, Picone, San Pasquale); il clan Strisciuglio-Campanale (San Girolamo, Fesca, San Cataldo); il clan Montani-Telegrafo-Misceo (San Paolo); il clan Mercante-Diomede (Carrassi, Libertà, Poggio Franco, San Paolo, San Pasquale); il clan Fiore-Risoli (Carrassi, Poggio Franco, San Pasquale); il clan Anemolo (Poggio Franco); il clan Palermiti-Parisi (Japigia); il clan Di Cosola (Carbonara, Ceglie del Campo, Loseto); il clan Strisciuglio (Carbonara, Libertà, San Paolo, Stanic, Palese, San Pio, Santo Spirito, Borgo Antico, Catino); il clan Di Cosimo-Rafaschieri (Madonnella).

 

Lo scenario criminale della provincia di Bari risente della complessità di quello del capoluogo. Risulta così difficile circoscrivere e localizzare i sodalizi in precise aree geografiche.

Anche per i clan della provincia il traffico di sostanze stupefacenti e le estorsioni rappresentano le maggiori fonti di guadagno su un territorio in cui possiamo distinguere “referenti di zona” ed “affiliati”.

Le indagini, sfociate nelle varie operazioni di polizia giudiziaria nel primo semestre del 2015, hanno dimostrato la vitalità dei sodalizi della provincia. I risultati conseguiti da Magistratura e Forze dell’Ordine sono stati rilevanti.

Il 10 febbraio 2015 sono stati arrestati 13 soggetti accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso, detenzione e porto di armi clandestine, ricettazione ed usura. Le indagini erano nate dall’omicidio di un personaggio di spessore del clan Rizzo, verificatosi a Rutigliano nel 2012. Gli inquirenti hanno così fatto luce sui fatti che sono alla base degli attriti tra il sodalizio Masotti (legato al clan Campanale, articolazione degli Strisciuglio, attivo nel quartiere Fesca-San Girolamo di Bari) ed i Rizzo (a loro volta vicini al clan Telegrafo del quartiere San Paolo di Bari), per il predominio sui traffici illeciti nei comuni di Rutigliano e Conversano.

L’11 febbraio, il giorno successivo, un’altra operazione di polizia ha portato all’arresto di tre pregiudicati ritenuti gli autori dell’agguato a un personaggio di spicco del clan Dambrosio che rimane ferito. Questo episodio di sangue si verifica nel luglio del 2014 nell’ambito di una lotta tra diversi gruppi operativi nel comune di Altamura.

Le indagini hanno portato a identificare un cittadino albanese come responsabile del ferimento a dimostrazione che si è raggiunto un certo livello di integrazione dai clan della provincia con criminali dell’area balcanica.

Una situazione di forte instabilità caratterizza la città di Altamura dov’è in corso una vera e propria “lotta di successione” per il controllo delle attività illecite conseguente al vuoto di potere determinato dall’uccisione di colui che era ritenuto capo del clan Dambrosio.

In questo clima di instabilità avviene l’attentato dinamitardo compiuto il 5 marzo 2015 davanti ad una sala giochi con il ferimento delle persone presenti. Il 20 giugno sono stati arrestati quattro pregiudicati, tra i quali l’attuale reggente del sodalizio, per strage in concorso aggravata dall’aver agevolato il clan Dambrosio nel controllo del gioco d’azzardo.

L’operazione battezzata “Pilastro”, portata a termine nelle seconda decade di aprile, ha consentito di far luce sulle mire espansionistiche del clan Di Cosola che punta al capoluogo.

La complessità della realtà della provincia viene confermata dalle sparatorie avvenute nel giro di poco più di una settimana (23 gennaio e 3 febbraio) a Bitonto. Una situazione già in atto dal 2012, come emerge dall’arresto, nel mese di aprile 2015, di un pluripregiudicato accusato di aver causato la morte e il ferimento di altri due malviventi. Le indagini hanno appurato che questi fatti di sangue sono stati determinati dallo scontro armato tra gli storici sodalizi criminali dei Cipriano e dei Conte, in lotta da anni per il dominio sulle attività illegali.

Nella provincia di Bari sono operativi 14 clan: il clan Dello Russo-Ficco (Terlizzi); il clan Cipriano-Conte-Cassano (Bitonto); il clan Strisciuglio-Di Cosola-Conte-Zonno (Palo del Colle); il clan Di Cosola (Adelfia, Bitritto, Capurso, Cellamare, Sannicandro di Bari, Santeramo in Colle e Valenzano); il clan Dambrosio-Loiudice (Altamura); il clan Mangione-Gigante-Matera (Gravina in Puglia); il clan Zonno (Grumo Appula e Toritto); il clan Stramaglia (Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti, Valenzano, Capurso, Cassano delle Murge, Santeramo in Colle); il clan Capriati (Modugno, Binetto e Grumo Appula); il clan Strisciuglio (Noicattaro, Rutigliano, Giovinazzo); il clan Misceo (Noicattaro); il clan Palermiti (Casamassima, Capurso, Cellamare, Noicattaro e Triggiano); il clan Parisi (Modugno, Triggiano, Noicattaro, Cellamare, Capurso, Monopoli, Putignano); il clan Diomede-Mercante a Modugno.

 

Nella provincia di Barletta-Andria-Trani le attività criminali più diffuse sono il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti gestite dalle famiglie mafiose dei Pistillo-Pesce e Pastore-Lapenna (oppure ex Pastore), in contrasto tra loro.

Ad Andria è operativo il gruppo Griner, dei clan Pastore-Campanale e Pistillo-Pesce, questi ultimi in contrapposizione tra loro. A Trinitapoli è in corso il conflitto tra il gruppo Gallone-Carbone e il gruppo Miccoli-Derosa.

L’arresto di due pluripregiudicati, sorvegliati speciali originari rispettivamente di Andria e di Bari, avvenuto ad Andria il 5 maggio 2015, comprova i legami tra personaggi della criminalità andriese e barese.

Si registrano episodi di intimidazione nei confronti di rappresentanti delle istituzioni. La notte del 18 febbraio, a Barletta, è stata incendiata l’autovettura del comandante della locale Polizia Municipale.

In tutta la provincia sono attivi sette clan: il clan Miccoli-De Rosa-Gallone-Carbone a Trinitapoli; il clan Visaggio a San Ferdinando di Puglia; il clan Matarrese a Canosa di Puglia; il clan Pesce-Pistillo-Pastore-Campanale ad Andria; il clan Griner ad Andria; il clan dei “Referenti” Di Cosola-Stramaglia a Bisceglie; il clan Cannito-Lattanzio a Barletta.

 

Nella provincia di Foggia continuano ad operare stabilmente la “Società Foggiana” e la “Mafia Garganica”, difficilmente distinguibili tra loro.

I sodalizi attivi nel contesto foggiano si caratterizzano per la capacità di diversificazione e rinnovamento in uno scenario nel quale cercano di agire attraverso metodi molto aggressivi.

Nella provincia sono numerosi gli attentati dinamitardi ed incendiari ai danni degli imprenditori e dei commercianti, soprattutto nelle città di Foggia e San Severo. Il territorio, inoltre, è un importante snodo per il traffico di sostanze stupefacenti che si svolge in collaborazione con altre organizzazioni mafiose, soprattutto la Camorra Napoletana.

Attraverso l’usura e le estorsioni i clan si infiltrano nell’economia locale. Spesso l’estorsione avviene tramite l’imposizione del personale da assumere con il duplice scopo di acquisire consenso sociale e controllo del territorio.

Lungo la litoranea e nel promontorio garganico sarebbe in atto una fase di riassetto, volta a ridisegnare la gestione delle attività illegali. Alcuni episodi di sangue potrebbero determinare nuove strategie ed alleanze con l’affermazione di gruppi emergenti.

A Foggia non si registrano particolari attriti tra le più importanti consorterie criminali che sono state duramente colpite dalle molteplici inchieste giudiziarie e dalle dure condanne.

Significativo il provvedimento di fermo eseguito il 21 marzo 2015 dalla Polizia di Stato di Foggia nei confronto di un sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, accusato di un tentativo di estorsione ai danni di un titolare di un’agenzia di infortunistica stradale. Fatto rilevante perché compiuto con l’aggravante del metodo mafioso non solo per le modalità di esecuzione ma anche per le finalità che il pregiudicato si prefiggeva, ossia il mantenimento delle famiglie dei detenuti.

Si registrano anche intimidazioni nei confronti di rappresentanti o appartenenti alle Istituzioni con conseguenti rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico e nella Pubblica Amministrazione.

Nell’area del capoluogo è operativo il sodalizio Sinesi-Francavilla, strutturato su legami familiari e vincoli di parentela. Questo gruppo, a fronte di una storica rivalità con il gruppo Moretti-Pellegrino, avrebbe raggiunto una stabilità nei rapporti con il clan Trisciuoglio-Prencipe-Mansueto e con il clan Gallone-Carbone presente nel comune di Trinitapoli (BAT), come documentato grazie all’operazione “Babele”.

Il clan Rapinatori è originario di Foggia, mentre i Di Tommaso e i Piarulli-Ferraro sarebbero attivi su Cerignola. Quest’ultimo sodalizio è stato colpito lo scorso marzo da un sequestro di beni per oltre 5 milioni di euro, tra cui spiccano due società di Canosa di Puglia ed alcune unità immobiliari in provincia di Milano.

A Lucera sono attivi i clan Barbetti ed il clan Tedesco, quest’ultimo in conflitto con il clan Bayan-Papa-Ricci, a sua volta vicino alla malavita di Foggia e San Severo.

A Mattinata operano i Gentile, mentre a Monte Sant’Angelo e in altre zone del Gargano i Li Bergolis che, storicamente in conflitto con il sodalizio Alfieri-Primosa-Basta, sarebbero adesso in contrasto anche con i Romito di Manfredonia.

L’area garganica sembra essere in una fase di riassetto, volta a ridisegnare la gestione delle attività illegali.

La litoranea Vieste-Peschici è al centro delle tensioni dopo l’omcidio del capo indiscusso del clan Frattaruolo-Notarangelo, confederato al clan Li Bergolis, compiuto in pieno stile mafioso in località “Gattarella” il 26 gennaio 2015.

A Vieste, pertanto, potrebbe affermarsi un nuovo gruppo criminale, capeggiato da ex gregari dello stesso Notarangelo e fortemente propenso a instaurare nuove strategie ed alleanze.

L’area dell’Alto Tavoliere è sotto l’influenza della criminalità di San Severo, da sempre composta da più clan, (Testa-Bredice, Russi, Palumbo Salvatore ex Campanaro e Nardino), alcuni dei quali vicini ai gruppi foggiani ed in grado di allungare i tentacoli anche sulle vicine regioni del Molise e dell’Abruzzo tramite il traffico di sostanze stupefacenti che ha consentito a questi sodalizi di entrare in contatto con esponenti della criminalità calabrese.

Nel Basso Tavoliere, la città di Cerignola si caratterizza per la presenza di sodalizi criminali strutturati, capaci di allargare le proprie mire su altre regioni sia per la gestione del traffico di stupefacenti che per la pianificazione e realizzazione di assalti ai portavalori con tecniche militari.

In provincia di Foggia sono operativi in tutto 18 clan così suddivisi sul territorio: il clan Ricucci (Monte Sant’Angelo e Manfredonia); il clan Ciavarrella-Tarantino a Sannicandro Garganico; il clan Cursio-Padula ad Apricena; il clan Prencipe a San Giovanni Rotondo; il clan D’Aloia-Di Summa a Poggio Imperiale e Torre Maggiore; i clan Palumbo Salvatore, Russi e Testa-Bredice a San Severo; i clan Bayan-Papa-Ricci, Cenicola, Tedesco e Barbetti a Lucera; il clan Di Claudio-Mancini a Rignano Garganico; i clan Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino a Foggia; il clan Gaeta a Orta Nova; i clan Trisciuoglio-Prencipe-Mansueto e Rapinatori a Foggia; il clan San Martino a San Marco in Lamis; il clan Masciavè di Stornara; il clan Di Tommaso-Piarulli-Ferraro di Cerignola; i clan Li Bergolis e Alfieri-Primosa-Basta a Monte Sant’Angelo; il clan Gentile di Mattinata; il clan Notarangelo-Frattaruolo (Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Vico del Gargano e Vieste); il clan Romito a Manfredonia.

 

Antonio Nicola Pezzuto  

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