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L’attentato all’Addaura, il delitto Agostino e “faccia da mostro”

Lorenzo Frigerio il . Sicilia

Tornano i fantasmi del passato, tornano i “mostri” con i quali la storia del nostro Paese ha dovuto e deve ancora fare i conti: l’impressione che, ad ogni cambio di stagione politica, sociale, giudiziaria, sia possibile scacciarli una volta per sempre, trovando le risposte mancanti alle causali delle stragi e degli omicidi eccellenti, ha dovuto quasi sempre arrendersi di fronte alla incapacità cronica di trovare una risposta alla domanda di verità e giustizia proveniente dai familiari delle vittime e dai cittadini italiani.

Ecco perché dobbiamo fare appello alla ragione, prima che alla speranza, di fronte all’importante notizia di un nuovo indagato per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e la moglie Ida Castelluccio, uccisi insieme il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini, alle porte di Palermo. Non sia mai che anche questa volta l’annuncio di una possibile svolta ci porti a sbattere contro il solito muro di gomma.

Finisce in queste ore sotto i riflettori degli inquirenti l’ex poliziotto Giovanni Aiello, dopo essere stato già “scovato” in Calabria dai giornalisti de “La Repubblica” e da quelli di “Servizio Pubblico” sul finire del 2013.

Da tempo divenuto un simbolo della movimento antimafia, per la decisione di non tagliarsi la barba, fino a quando gli assassini non saranno trovati, il padre dell’agente ucciso Vincenzo Agostino, grazie a giornali e tv, ha identificato in Aiello il “faccia da mostro” che venne a cercare suo figlio presso la propria abitazione, solo alcuni giorni prima del duplice omicidio. Una “faccia da mostro” impossibile da dimenticare, soprattutto per la lunga cicatrice che deturpa il volto.

E proprio Aiello porta sul suo viso il segno indelebile di una fucilata, residuo di un terribile scontro a fuoco sostenuto in Sardegna durante un’operazione contro la banda di sequestratori di persone, guidata da Grazianeddu Mesina.

Ora dopo il confronto a distanza, ci sarà la possibilità di un confronto diretto, “all’americana”, con tanto di finte “faccia da mostro” accanto ad Aiello, messe al suo fianco per rendere difficile ma allo stesso tempo attendibile l’eventuale riconoscimento da parte di Agostino. Un passaggio delicato e importante che avverrà il prossimo 18 febbraio.

Del confronto si è avuta notizia nel corso dell’incidente probatorio di qualche giorno fa, avvenuto a Palermo, quando, rispondendo alle domande dei procuratori Di Matteo e Del Bene, il collaboratore di giustizia Vito Galatolo ha parlato della presenza di Agostino sulle scogliere dell’Addaura, nelle frenetiche ore dell’attentato progettato ai danni del giudice Giovanni Falcone.

Il 21 giugno del 1989 Falcone pensò di offrire una piccola pausa al lavoro serrato che, con i suoi colleghi svizzeri Carla Dal Ponte e Claudio Lehmann, stava conducendo sulla pista che collegava l’inchiesta “Pizza connection” ai forzieri delle banche elvetiche. Ad impedire una fugace nuotata e qualche ora di riposo fu la scoperta di un borsone da sub con 58 candelotti di esplosivo sulle scogliere antistanti il villino affittato dal magistrato.

Scattò l’allarme, l’esplosivo fu fatto brillare e in quella circostanza Falcone comprese di avere intrapreso una strada senza ritorno. A volere la sua morte non era infatti solo la mafia: «Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime – dichiarò allora il magistrato – che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forti punti di collegamento tra i centri di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi. Sto assistendo all’identico meccanismo che portò all’eliminazione del generale Dalla Chiesa. Il copione è quello. Basta avere occhi per vedere».

Le ricostruzioni investigative e alcune conferme provenienti dall’interno di Cosa nostra hanno in seguito posizionato sullo scacchiere dell’Addaura sia Nino Agostino che Emanuele Piazza, agente operativo dei servizi segreti che, per anni, ne negarono persino l’inquadramento in ruolo, fatto scomparire nel 1990 dai killer delle cosche, dopo averlo strangolato.

Sarebbero stati proprio Agostino e Piazza a far fallire l’attentato. Conferma autorevole di questo scenario fu data dallo stesso Giovanni Falcone che, intervenendo ai funerali di Agostino e della moglie, ammetterà quasi con un sussurro di dovergli la vita.

Agostino e Piazza erano considerati “i cattivi” dai mafiosi perché, ha ricordato Galatolo, davano la caccia ai latitanti. Al contrario di questi due, altri uomini dello Stato, secondo il collaboratore di giustizia, avevano rapporti con il padre Vincenzo Galatolo, tra i boss più in ascesa durante la scalata dei corleonesi alla cupola. Tra loro vi erano non solo Bruno Contrada, ex capocentro SISDE, Arnaldo La Barbera, allora capo della mobile, ma anche, per l’appunto, Giovanni Aiello, almeno stando sempre alle rivelazioni di Galatolo: «Mio padre mi diceva, quando facevo il monello: faccio venire il mostro».

Da Galatolo, capo della famiglia mafiosa del quartiere palermitano dell’Acquasanta, dipendeva il commando di pericolosissimi killer coinvolto nelle uccisioni di Rocco Chinnici, Carlo Alberto dalla Chiesa, Ninni Cassarà e Natale Mondo.

Ora nell’ipotesi accusatoria, a Gaetano Scotto e Antonino Madonia, i due indagati per il duplice omicidio di Villagrazia di Carini, si aggiunge quindi anche Aiello che, secondo un altro collaboratore di giustizia, Vito Lo Forte, sarebbe intervenuto a supporto dei killer, distruggendo la moto usata dai due e fornendo loro l’auto per fuggire indisturbati. Lo Forte sostiene inoltre che l’eliminazione di Nino Agostino fu portata a termine “per fare un favore ai suoi superiori”.

A chi fa riferimento Lo Forte? Si può rispondere a questa domanda alla luce della motivazione fornita sul ritardo nel rendere noti i dettagli oggi offerti agli inquirenti: la paura che lo stesso Lo Forte provava nei confronti di Gaetano Scotto, in ragione dei suoi rapporti con i servizi segreti.

Superiori, servizi segreti: ecco qui che fanno capolino gli “altri mostri”, gli altri fantasmi che popolano lo scenario delle stragi, non solo di mafia.

Se anche dovesse essere provata la responsabilità di Aiello nell’omicidio Agostino o in altri episodi oscuri della lotta alla mafia, se anche ne fossero provate l’infedeltà allo Stato e il tradimento di suoi colleghi, ci auguriamo che la ricerca degli “altri mostri”, posizionati in gangli vitali delle istituzioni, non si fermi ma vada avanti.

Avanti, perché si possa arrivare all’individuazione di quelle “menti raffinatissime”, evocate da Falcone ma mai venute allo scoperto.

Vincenzo Agostino ha dichiarato di essere tornato a sperare nella giustizia, di fronte alle notizie di questi ultimi mesi.

Abbiamo il dovere di aiutarlo a tramutare la speranza in certezza.

A dispetto dei tanti mostri in circolazione ancora oggi che impediscono il pieno raggiungimento della verità.

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