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Puglia, l’impegno delle donne contro il racket

di Gianni Bianco il . L'analisi

Fatevi coraggio e denunciate” continuano a ripetere anche in Puglia gli investigatori, chiamati a trovare colpevoli per le troppe saracinesche di negozi che continuano a saltare per aria e sempre più spesso lasciati soli a combattere la guerra al racket che intanto conquista nuovi pezzi di territorio. “Dateci una mano” implorano le forze dell’ordine e i magistrati, appelli che cadono nel vuoto. Spesso, ma non sempre. Non più almeno. E a rispondere “ci siamo” sono sempre più spesso le donne, imprenditrici e commercianti che hanno rialzato la testa e che sono diventate di fatto la prima linea del fronte anti-pizzo nel tacco dello Stivale.

Se la Puglia si libererà della piaga delle estorsioni, sarà soprattutto grazie a loro. Tutte le ultime associazioni antiracket e antiusura legate al Fai e nate in Puglia hanno adesso una donna alla guida. A Vieste ha avviato il percorso Vittoria Vescera (ex presidente del Consorzio Gargano Mare), a Foggia la wedding planner Cristina Ceci, a Bitonto la commerciante Angela Castellano, ora a Bari anche Giuseppina Lacarbonara, titolare di un negozio di ottica. “Ho cominciato a pagare, poi sono arrivati a pretendere che consegnassi le chiavi del negozio e a quel punto” mi racconta, “ho detto basta. Assieme a mio marito e ai miei tre figli, due dei quali lavorano con me, ci siamo rivolti al Fai e siamo andati a denunciare. Pochi giorni dopo i miei aguzzini, emissari di un clan molto potente in città, sono stati arrestati in flagranza di reato proprio nel mio negozio. Da quel giorno sono rinata, è stata una liberazione, grazie allo Stato abbiamo ricominciato a lavorare, sono riuscita a ridare un futuro ai miei figli. E io ho ritrovato me stessa, la mia dignità e adesso da presidente cerco di risvegliare altre coscienze”.

Le donne che sono state vittime del racket e che hanno avuto la forza di denunciare” mi conferma Renato De Scisciolo, presidente regionale del Fai, “sono in grado di comunicare speranza e di dare maggior coraggio ai colleghi vessati, più di quanto forse siano in grado di fare gli uomini. La loro testimonianza di madri, mogli, imprenditrici, commercianti è fondamentale per dare un messaggio forte alla società civile: pagare chi ti rovina la vita non si può, non si deve”.

Nelle zone ad alta densità criminale la ribellione femminile – seppur solo avviata – è stata in grado di destabilizzare dalle fondamenta la struttura ideologica delle cosche, essendo le donne capaci di mettere in discussione il principio cardine delle organizzazioni mafiose, la trasmissione in ambito familiare delle regole interne, del vincolo del rispetto, della fedeltà e dell’omertà. Se tutto questo va in crisi, il rischio è il cortocircuito. E in Puglia accanto a Vittoria e Cristina, Angela e Giuseppina, ce ne sono altre di donne tenaci e coraggiose che sono state capaci di ribaltare il più grande dei dolori in impegno sul campo. Nel Leccese Viviana e Sabrina Matrangola, figlie di Renata Fonte (uccisa dalla mafia nel 1984 a Nardò mentre rientrava da una seduta del Consiglio comunale) attivamente impegnate con Libera come Daniela Morcone, che dell’associazione è invece referente provinciale nel Foggiano, la zona che maggiore allarme desta negli uffici della Direzione Distrettuale antimafia di Bari.

Daniela porta avanti la battaglia avviata da suo padre Francesco, direttore dell’Ufficio del registro di Foggia, ucciso mentre rientrava a casa dal lavoro, dove da funzionario onesto, non aveva voluto chinare il capo davanti al malaffare.

Donne che da fronti diversi, insieme da anni combattono per costruire percorsi di legalità nella Terra degli Ulivi, la Puglia, dove cantava Caparezza, si è costretti a “subire i ricatti di uomini grandi ma come coriandoli”.

 

 

 

*Gianni Bianco, giornalista Rai

 

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