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Strage di Capaci, commemorare Falcone significa studiare le mafie per contrastarle in maniera adeguata

di Giuseppe Baldessarro il . Sicilia

L’analisi// – Ci saranno decine, forse centinaia di iniziative in tutta Italia. Da Nord a Sud uomini e donne, ragazzi e ragazze, ricorderanno la strage di Capaci. Ci sarà musica e colori, convegni, tavole rotonde e marce. Fiaccolate e balli. In mille modi sarà ricordato l’eccidio di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta. È un buon segno. Coltivare la memoria è segno di rispetto per se stessi prima ancora che per le vittime che si vogliono ricordare. È una maniera per darsi forza, per guardare al futuro, per porsi obiettivi a breve e lungo termine, per crescere.

La strada per sconfiggere le mafie è ancora lunga. Le belve che alimentano il cancro Italiano, e non solo, sono sempre intorno a noi. Cambiano pelle, mutano, assumono sembianze diverse, persino le facce di chi dovrebbe metterle all’angolo. Per questo serve una società che onorando la memoria di chi le ha combattute davvero sia anche in grado di leggere la contemporaneità di un fenomeno in continua evoluzione. “Loro” sono avanti, “Noi” dobbiamo necessariamente accelerare il passo se vogliamo davvero essere all’altezza dello scontro. È questo il grande insegnamento di Falcone. Quando in Sicilia si negava l’esistenza della mafia il pool palermitano dimostrava la presenza di una struttura reale. Quando si diceva che erano quattro straccioni i magistrati palermitani inseguivano i loro investimenti miliardari all’estero. Quando la politica si scandalizzava Falcone e Borsellino dimostravano le collusioni tra pezzi di interi partiti e boss. Quando alcuni uomini dello Stato venivano abbattuti dai killer, altri pezzi dello stesso Stato finivano in galera perché corrotti e traditori. Falcone e Borsellino facevano paura perché avevano lo sguardo oltre, sapevano vedere dove altri non riuscivano a distinguere il bene dal male, le complicità, la vergogna.

Molte cose sono cambiate in questi anni. Da quella strage ad oggi è cambiata la sensibilità della gente comune, c’è più consapevolezza dei fenomeni, c’è maggiore partecipazione, i giovani sono più attenti. Quello che, purtroppo, non si è adeguata nel tempo è la capacità di accelerare il passo di chi combatte la mafia. Lo Stato ha segnato quella marcia che pareva avesse avviato con vigore. Eccezion fatta per alcune procure e altrettanti tribunali le inchieste contro le mafie procedono a rilento, le forse dell’ordine non hanno gli strumenti ed i mezzi adeguati. Nei tribunali si registrano carenze di organico imbarazzanti. Nel nome del risparmio l’Italia, che pure è uno dei paesi europei che vanta le migliori professionalità, si muove a fatica. Non c’è certezza della pena e si fa largo la sensazione che esistano sempre più impuniti e impunibili.  Certo si aumentano le pene per i mafiosi, e va bene. Ma si fa ancora fatica a convincersi del fatto che se non si migliora la giustizia civile, se la burocrazia non funziona, se l’ingiustizia sociale continua a mordere le viscere del Paese, “Loro” avranno gioco facile. Hanno già occupato i gangli cruciali delle amministrazioni, hanno già corrotto, hanno già comprato, siedono in borsa, parlano il linguaggio della finanza. Si presentano come i “facilitatori” a fronte di uno Stato lento e farraginoso, che erge mura invalicabili ai più. Hanno occupato spazi, interi territori, si sono già presi molte vite.

Ecco forse Falcone gli sarebbe già alle spalle, pronto a colpirli dove oggi gli fa più male. Per onorare la sua memoria fino in fondo dovremmo comprendere che la mafia così come la immaginiamo non esiste più. Che ora c’è una nuova mafia. E che per vincerla serve una nuova consapevolezza. Loro cambiano, corrono nella modernità. Ora dobbiamo cambiare noi, per poterli sconfiggere.

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