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La partita di Don Franco Lanzolla, “prete di strada” a Bari vecchia

di Gianni Bianco il . L'analisi, Puglia

“Se vuoi giocare nel mio campo, non giocare da solo per fare gol, gioca per far vincere la squadra. Solo così il tuo gol avrà valore”. Don Franco Lanzolla, parla come un allenatore negli spogliatoi, per farsi capire da tutti. Non a caso è il parroco della Cattedrale di Bari, quel bagliore di arte romanica tra i dedali della Città Vecchia nei quali un tempo cominciò a tirare i primi calci Antonio Cassano, uno che non ha mai smesso di ripetere che “il pallone gli ha salvato la vita”.  Dare un futuro ai piccoli Cassano di oggi, anche e soprattutto da queste parti, significa non cercare l’azione individuale, ma imparare a muoversi insieme, per mettere in fuorigioco la protervia dei clan che da sempre pretendono di condurre il gioco. E se quelli si mettono insieme per delinquere, i cinquecento parrocchiani che militano nella squadra di Don Franco, si presentano come un’ “associazione a costruire”, una compatta formazione che sfida la criminalità sul comune campo di casa, la strada. Quasi un derby, giocato non in difesa ma all’attacco, nel quale in ballo c’è il futuro di questa bellissima e sofferente porzione di città, tornata in parte fruibile ai baresi grazie alla movida, ma pur sempre con il rischio d’essere percepita come un mondo a parte.

“La strada è il luogo dell’incontro e del confronto” spiega don Franco, “ma è anche il luogo nel quale molti vengono sedotti da proposte che li portano a deragliare. E’ qui che si confrontano due dinamiche, due modalità di vivere e tessere rapporti. Una individualista e distruttiva, che schiaccia l’altro e lo elimina. E l’altra, quella che vogliamo costruire noi: la cultura dell’accoglienza, dell’incontro che è parte della storia di Bari Vecchia, da sempre ponte fra i popoli, porto del porto”.

Se una speranza c’è, è sulle chianche, tra le lastre di pietra dei vicoli, levigate e profumate di detersivo, che potrà fiorire. Ed infatti, se giri nel quartiere, è lì , “on the road” che trovi sempre don Franco e i tanti che lo sostengono in questa concreta esperienza di cittadinanza attiva per la quale, come dice ironicamente lui, “bisogna essere bilingue, senza il dialetto neanche si comincia”. “Il mio ufficio è in strada” mi ripete, “ma anche il nostro oratorio è nei vicoli, lì dove tentiamo di recuperare i piccoli bulli che crescono. Il bambino che sfascia i vetri delle auto, che aggredisce i coetanei, che cresce giocando “contro”, ed invece con noi per strada impara a giocare “con”. Il gioco è la nostra palestra delle regole, assieme ad adulti capaci di guidarli vengono rieducati alla relazione, apprendono l’importanza delle norme condivise. E’ qui che la logica del branco, della banda viene superata dalla forza del gruppo. La legge del buon vivere civile è sulla strada che si apprende ed è qui che noi dobbiamo stare. Se la criminalità occupa e controlla spazi di territorio, il cristiano-cittadino e uno che vuole ri-abitare quei luoghi. Solo noi possiamo salvare i nostri figli, non possiamo aspettare che arrivi un deus ex machina, dal nord o dalla fortuna, tocca a noi la salvezza dell’altro nella misura in cui crediamo in noi stessi. E Bari vecchia ha da dare tanto, c’è gente buona, tanta, che è stata sedata, messa in ginocchio”.

Per il riscatto non basta però un prete, serve una squadra, una intera comunità. Una “parrocchia diffusa”, esperienza che con profitto, don Franco ha già fatto in passato in un altro quartiere difficile, Japigia, negli anni d’oro dello storico boss della mala barese, Savinuccio Parisi. Così anche a Bari Vecchia, non si fanno troppi discorsi sulla legalità, ma si dà un pasto, un tetto e una doccia ai senzacasa, si accolgono famiglie in difficoltà, si prova a cercare e creare un lavoro pulito a chi lo chiede, si fa doposcuola. Prima che parrocchiani qui si dicono cittadini, sono in tanti a sostenere il progetto di una chiesa che sta nei vicoli di una medina con tredicimila abitanti e centinaia di persone in carcere e ai domiciliari, spesso i padri. Per questo è dalle donne che viene il segnale più incoraggiante di risveglio civile. “Mi dà speranza vedere madri che non abbandonano più i figli a destini di morte, fragilità culturali, alcool e droga, e che rischiano di farne futuri sudditi delle organizzazioni malavitose. Donne” racconta don Franco, “che si stanno ribellando, si stanno riappropriando dei propri figli, stanno richiedendo un nuovo patto educativo con i loro mariti, e chiedono una mano ad una chiesa che celebra in chiesa la fede, ma pratica per la strada la carità. Solo aiutando i genitori a diventare educatori che a loro volta insegneranno ai propri figli diventare liberi e forti, avremo una chance”.

La partita di Don Franco e della sua parrocchia si gioca tutta sul futuro di un manipolo di ragazzini, i più a rischio, una trentina. Se verranno conquistati loro, la storia di Bari Vecchia potrà cambiare davvero e per sempre. “I figli dei boss sono i miei fratelli” mi confida Don Franco preparando una veglia di preghiera, “c’è sempre rispetto per la persona, mai scontro, non si può essere preti anti-qualcuno o anti-qualcosa. Non serve essere contro, ma a fianco, tirando fuori la  pepita d’oro che ciascuno di loro ha nel cuore. Il sacerdote è padre, e io cerco di ricordarmi sempre che credo in Uno che è andato a vivere fra i poveri e a morire tra due ladroni. Io vivo e lotto perché uno dei ladroni vada in Paradiso, questa è la mia missione”.

* Gianni Bianco, giornalista Tg3 

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