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Camorra Sound

di Marika Demaria per Narcomafie il . Campania, Recensioni

E se ‘a paura fa nuvanta ‘a dignità fa Cientuttanta tanta tanta tanta tanta voglia ‘e cagnà voglia ‘e cagnà. Con questi versi, tratti dal brano “A camorra song’io”, il gruppo rock degli ’A67 si affacciava al mondo della musica. Era il 2005, il nome della band è evocativo della legge 167 del 1962 che ha originato l’edilizia popolare in Italia, permettendo di fatto il proliferare di scempi architettonici come, per esempio, il quartiere “Le Vele” di Scampia. «Siamo nati qui – si legge sul sito internet della band –, la nostra musica è stata prima un urlo di rabbia contro tutti, poi l’urlo è diventato parola. Le parole, canzoni». Un grido di rabbia, di ribellione, che, secondo il leader Daniele Sanzone, non tutti i suoi colleghi partenopei hanno lanciato. L’artista interroga e si interroga sul perché i cantautori napoletani non abbiano esplicitamente preso posizione contro la camorra, e questa domanda diventa il fulcro del suo libro Camorra Sound. ‘O sistema nella canzone popolare napoletana tra giustificazioni, esaltazioni e condanna (Magenes editoriale). Sullo sfondo di questa analisi – che permette di compiere un viaggio ideale tra i vari generi musicali napoletani  – il capoluogo campano, spaccato in due: da una parte «la città legittima dei napoletani, della società civile autonoma, dell’opinione pubblica, dei sindacati, delle associazioni professionali, dei partiti e del volontariato; dall’altra parte la città illegittima della camorra, dell’economia sommersa, della droga, della violenza, della guerra tra i clan», come descrive il giornalista e scrittore Marcello Ravveduto nella prefazione del libro. E aggiunge: «Due mondi, apparentemente separati, che si incontrano negli abissi della zona di contatto in cui si stabiliscono relazioni occulte e sinallagmatiche». La morale quindi non è regolata dallo Stato ma dalla sopravvivenza. Ecco allora che la delinquenza è giustificata dall’assenza delle istituzioni, e che Mario Merola, emblema per eccellenza della sceneggiata napoletana, raffigura il guappo “buono” poiché la morale viene completamente stravolta: non è la mafia ad essere malvagia, ma chi va contro il suo sistema valoriale. In risposta a questo genere artistico nasce, alla fine degli anni Settanta, il Neapolitan Power, che mescola la tradizione partenopea con il sound angloamericano. In questo passaggio del libro, si tocca il punto nevralgico della questione, anticipato da Ravveduto: Daniele Sanzone domanda  – offrendo come risposta le dichiarazioni di vari artisti – perché i cantanti napoletani non abbiano scritto e cantato brani “impegnati”. Caparezza sostiene che fare musica impegnata significhi dare il meglio di sé. Il cantante e attore Gianni Lamagna, per contro, riconosce che non prendere una posizione netta contro la camorra equivalga a una forma di omertà. Raffaele Cascone racconta che la sua scelta di raccontare la “musica impegnata” attraverso la sua trasmissione radiofonica Per noi giovani non fu apprezzata dalla Rai, che sospese la messa in onda del programma. Anche il gruppo musicale dei Giganti subì la censura per il brano “Terra in bocca”, basato su un fatto di cronaca del 1936, una forte accusa alla mafia per la guerra dell’acqua nella Sicilia; il brano fu trasmesso una sola volta alla radio. «Era meglio smettere piuttosto che ritornare a fare canzonette», commenta Checco Marsella, tastierista del gruppo che decise così di sciogliersi. Sanzone affronta infine il tema dei cantanti neomelodici e di ciò che lui ha battezzato “il rinascimento napoletano”, dalle cui ceneri nascono, per esempio, l’hip hop di CoSang e lo stesso rock degli A67: nuove generazioni che raccontano, cantano e suonano un’altra Napoli, quella del Sistema di Scampia e Secondigliano. Il Camorra Sound, appunto.

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