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Chiuso il cerchio della verità sull’omicidio di Pierantonio Sandri

di Giuseppe Vinci* il . Sicilia

Condannato il 3 marzo dalla Corte di appello del Tribunale di Catania- Sezione per i minorenni-  a sedici anni e sei mesi di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici Salvatore Cancilleri, il trentaseienne niscemese ritenuto corresponsabile dell’omicidio di Pierantonio Sandri compiuto nelle campagne di Niscemi il 3 settembre 1995 insieme a Giuliano Chiavetta, già condannato nel febbraio 2012 a quattordici anni dal Tribunale per i minorenni (dove lo stesso Cancilleri era stato assolto nel primo grado), e a Vincenzo Pisano e Marcello Campisi, condannati a diciotto anni e otto mesi il 28 novembre 2013.  A differenza dei tre complici, il Cancilleri, che ancora si trova a piede libero, è stato l’unico imputato che non ha ammesso la propria responsabilità nell’omicidio. Infatti Chiavetta si è autoaccusato del delitto nel settembre del 2009, mentre gli altri due complici Pisano e Campisi, che all’epoca dei fatti erano già maggiorenni, hanno ammesso spontaneamente la loro colpa davanti al GUP Biondi nell’udienza del 10 ottobre 2013.

Proprio le dichiarazioni di Chiavetta hanno dato una svolta decisiva nelle indagini, aprendo la pista del delitto mafioso. Chiavetta, infatti, con il suo racconto spontaneo, rilasciato quando già era in carcere per altri delitti e quasi alla fine della sua pena, ha permesso sia di far ritrovare agli inquirenti il corpo di Pierantonio sia di far luce sul suo omicidio, compiuto perché proprio il Cancilleri aveva rivelato agli altri tre complici, con i quali apparteneva a un gruppo mafioso emergente, che Pierantonio lo aveva visto mentre incendiava un’auto per un’estorsione, ed essendo ritenuto il giovane niscemese un bravo ragazzo e vicino alle forze dell’ordine, era molto preoccupato perché vedeva a rischio la sicurezza di tutto il gruppo. Da quella preoccupazione era partita la decisione dei quattro di portare Pierantonio nelle campagne di Niscemi e di torturarlo fino alla morte. Poi, dopo aver riferito del delitto ai capi della cosca mafiosa, il cadavere è stato seppellito nei pressi del luogo del delitto.

Nel processo di primo grado presso il Tribunale per i minorenni, Cancilleri era stato assolto perché la sola dichiarazione di Chiavetta non era sufficiente per condannarlo, ma la Procura di Catania ha chiesto l’appello e i nuovi riscontri portati dai PM Dott.ssa Vassallo, della Procura per i minori, e Dott.ssa Vinciguerra sono stati schiaccianti, tra questi le dichiarazioni di un altro collaboratore e di una testimone di giustizia, nonché la stessa ammissione di colpa e l’affermazione che le dichiarazioni del Chiavetta erano veritiere da parte degli altri due complici Pisano e Campisi. Il pm, Silvia Vassallo, ha chiesto così il massimo della pena, cioè venti anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici, per il Cancilleri, chiedendo di considerare subvalente la minore età all’epoca dei fatti perché, come dichiarato da Vassallo, “il Cancilleri era minorenne soltanto anagraficamente, perché aveva già compiuto altri delitti e aveva fatto delle precise scelte di vita”, quali la stessa modalità del delitto compiuto contro il povero Pierantonio, colpevole solo di averlo visto mentre incendiava l’auto.

L’avvocato difensore ha provato, inutilmente, a smontare la tesi dei pm, mettendo in dubbio la credibilità delle dichiarazioni del Chiavetta e le altre dichiarazioni acquisite durante questi anni e comunque in via subordinata ha cercato di sostenere la mancanza di volontà nell’esecuzione dell’omicidio da parte di tutto il gruppo e in particolare dell’imputato Cancilleri. E soprattutto ha cercato di smontare la tesi del delitto mafioso, provando a dare la ricostruzione di un omicidio avvenuto quasi per caso e senza volontà, perché, secondo l’avvocato, i quattro giovani volevano solo spaventare Pierantonio per capire se realmente avesse visto il Cancilleri mentre incendiava l’auto. La Corte di Appello di Catania – Sezione per i Minorenni – presieduta dal Dott. Pietro Zappia ha condannato il Cancilleri, perché le nuove prove prodotte dai pm hanno dimostrato la completa partecipazione al delitto e così con quest’ultima condanna si è chiuso il cerchio attorno alla lunga e tragica storia iniziata il 3 settembre 1995 con la scomparsa del giovane Pierantonio, cercato con grande tenacia e forza d’amore dalla madre Ninetta Burgio, morta poi per una grave malattia, nel novembre 2011, a cinque mesi dall’apertura del processo di primo grado presso il Tribunale per i minorenni.

Ricordiamo che Ninetta Burgio, oltre a non arrendersi mai nella ricerca del figlio, ha speso tutto il resto della sua vita portando messaggi d’amore per la vita e di giustizia a tantissimi giovani in tutta Italia sia nelle scuole sia negli Istituti penali minorili, e per questo è stata definita “madre coraggio”. Cosa avrebbe detto Ninetta dopo quest’ultima sentenza non lo possiamo sapere. Sappiamo solo che quando ancora non si era chiuso il primo grado, ma già si aveva il sentore che il Chiavetta sembrava restare l’unico riconosciuto colpevole dell’omicidio del figlio, provava una grande tristezza per quel ragazzo, tra l’altro suo ex alunno, che aveva avuto il coraggio di confessare e mai ha avuto parole di odio o di vendetta nei suoi confronti, ma solo voglia di verità e giustizia. Proprio questa voglia di verità e giustizia è stata ereditata dai componenti del Coordinamento di Libera a Catania, che ha seguito Ninetta negli ultimi anni di vita e ha assistito a tutta la fase processuale al fianco dell’Avvocato Enza Rando, dell’ufficio di presidenza di Libera. L’associazione si è anche costituita parte civile nel processo contro Campisi e Pisano. Finalmente con quest’ultima condanna il cerchio della verità si è chiuso. Ciò dà soddisfazione ma non può far esultare, anzi provoca molta tristezza per la vita di Pierantonio che è stata spezzata, ed anche per i “quattro condannati” che hanno ucciso Pierantonio, quattro giovani che hanno ucciso un loro coetaneo. Ma se mentre per Pierantonio la storia è definitivamente chiusa perché la sua condanna a morte è stata definitiva, per i quattro condannati al carcere resta la speranza di un recupero dopo aver espiato la pena per l’omicidio commesso.

 

Per approfondimenti sull’omicidio del giovane Pierantonio Sandri clicca qui I II

 

 

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