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Puglia, brucia per la terza volta l’Orto dei Tur’at. “Non riusciranno a cancellarci”

di Mauro Sarti il . L'analisi

Tre incendi in quattro anni. Un orto che dà fastidio quello dei Tur’at nato non per caso nelle campagne salentine come progetto culturale e ambientale. Gente che evidentemente non piace, quella che si è messa a organizzare spettacoli, letture, serate musicali in uno spazio nella campagne di Ugentu, fra Gallipoli e Santa Maria di Leuca, irrigato attraverso un antichissimo sistema di pietre a secco a forma di mezzelune sistemate in modo da raccogliere l’umidità del Libeccio. Troppo rumore attorno a quella terra di proprietà di Mino Specolizzi, artigiano salentino con la passione per l’arte, da tempo trapiantato a Bologna, e alla sua associazione di sognatori. “Mietiamo nuvole” si chiama infatti la rassegna che prenderà il via il 29 di luglio – e che ha rischiato di saltare – anche se la terra puzza ancora di bruciato e mancano all’appello, oltre a un gazebo, un palco per gli spettacoli e altre attrezzature, ben 11 ulivi secolari. Il fuoco, come al solito, è arrivato infido e insilenzio. Il 16 giugno, l’ultima volta. Appiccato da chissachì, ma certamente non per sbaglio. Non per incuria.

La denuncia contro ignoti è già stata presentata, ma sarà difficile che se ne venga a capo. La zona è isolata, fuori dalle rotte turistiche, attorno solo campagna e coltivazioni. A chi interessa la vita dell’Orto dei Tur’at? A chi interessa spegnere questa bella esperienza di cultura dal basso che  cerca con coraggio di rianimare una terra che ormai vede solo nel turismo, e in poco altro,  la sua rinascita?  “E’ successo un’altra volta, è terribile, non sappiamo davvero cosa pensare: forse diamo fastidio a qualcuno, non sappiamo a chi, però è sicuro che costoro bruciano la speranza, la cultura e il rispetto per l’ambiente”. Milena Magnani, bolognese, compagna di Mino, è una scrittrice. Il suo libro più famoso “Il circo capovolto” (Feltrinelli, 2008) è stato tradotto in molte lingue. E’ la storia di un famiglia circense, di un riscatto cercato, una “favola atroce, ma con il lieto fine” ha scritto Erri De Luca. E l’Orto dei Tur’at – oggi – ironia della sorte, è come se richiamasse quella storia triste e testarda. Una metafora per chi non si accontenta. Per chi cerca tra le nuvole: come quelle grandi mezze lune di pietra a secco, chiamate tu’rat, che hanno la parte spanciatarivolta verso il vento umido proveniente dalla Libia in modo che l’aria, incanalandosi nella cavità della pietra, subisca una sorta di effetto rugiada, e scivolando tra i tu’rat riesca a dare acqua all’orto.  La tecnica è arcaica, e ha preso spunto dalle scoperte fatte nel deserto del Negev, nel sud di Israele.

 

Eppure brucia. Lo bruciano ancora. Ci riprovano ogni estate. E come ogni estate, da quattro anni, gli amici dell’Orto dei Tur’at non si perdono d’animo. “E’ difficile immaginare che non ci vogliano a causa delle nostre attività culturali – racconta ancora Milena- – ma non rimane che un’ipotesi del genere: forse qui non vogliono avere troppa gente nei paraggi. Ogni volta che organizziamo qualche iniziativa e mettiamo la segnaletica promozionale per le strade, questa ci viene puntualmente tolta:non sappiamo da chi”. Il 29 luglio al 7 agosto parte ugualmente la rassegna “Mietiamo nuvole”:musica, poesie, letture, teatro, laboratori, installazioni. E si mangia anche all’Orto dei Tur’at.  “Il primo incendio, 4 anni fa, pensavamo fosse casuale, come spesso accade in Salento – continua tranquilla Milena – perciò avevamo deciso di non sporgere denuncia, anche se qualche sospetto chefosse doloso lo avevamo avuto. In sostanza, la prima volta bruciò tutto l’uliveto dell’orto, tra l’altro pluricentenario. L’anno scorso, poi, qualcuno tentò di provocarne un altro, ma per fortuna grazie all’assenza di vento l’incendio non si propagò. Quest’anno, essendo bruciato il vecchio uliveto, l’associazione aveva affittato quello accanto, ed è proprio lì che è stato appiccato l’ultimo incendio, che poi si è propagato anche all’orto botanico, bruciando quasi tutte le piante dei Tu’rat”.

 

Uno spazio per scolaresche in gita di studio, una nuova proposta come “ecomuseo”, all’aperto, all’interno del piano paesaggistico della Puglia. Un progetto fatto in gran parte di salentini trasferiti al nord, che hanno cercato di rimpossessarsi delle loro radici. “Qualcuno di fronte al rogo ha detto ‘pazienza, il sud è anche questo’: sì è vero, ma il sud è anche la nostra volontà di non mollare – racconta amaro Cosimo Specolizzi – . Di perseguire utopie e di continuare a figurarci un mondo migliore di quello che appare. In fondo, come scrive il poeta salentino Antonio Verri,   non può interrompersi e  non si interromperà il dialogo con  la terra che questa gente  ha stabilito nel tempo, il grande respiro, il sibilo lungo che si può udire solo di mattina guardando la vastità dei campi”.

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Mauro Sarti

Mauro Sarti, giornalista, è professore a contratto di Giornalismo all’ Università di Bologna. E’ fondatore del service editoriale Agenda di Bologna e responsabile dell’ufficio di corrispondenza per l’Emilia-Romagna dell’agenzia di stampa Redattore Sociale . Ha pubblicato “Il Giornalismo sociale” (Carocci, 2007) e ha curato il volume “Africa & Media” (Ega, 2009). E’ stato consigliere dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna dal 2007 al 2010.

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