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Trapani mafioso “riservato”: imprenditore condannato a sei anni

di Rino Giacalone il . Sicilia

«Il prefetto Sodano è tinto e se ne deve andare». Parole del capo mafia Francesco Pace (intercettate dalla Squadra Mobile di Trapani durante l’operazione mafia e appalti seconda fase, diretta dall’allora dirigente Giuseppe Linares). Con lui quel giorno, nell’auto dove la Polizia aveva piazzato le microspie, (era il 2002) ad annuire c’era un imprenditore valdericino, Vincenzo Mannina. Pace è stato condannato a 16 anni, riconosciuto in via definitiva, capo della cupola mafiosa di Trapani, da lui trasformata in holding imprenditoriale. Mannina, che per i giudici era suo socio, nella impresa e nell’associazione mafiosa, ritenuto quasi un uomo d’onore “riservato”, è stato ri-condannato in appello oggi, sei anni, dopo che la Cassazione aveva rimandato indietro la precedente condanna. Giudizio di colpevolezza oggi ribadito. “…Mannina Vincenzo ha assicurato all’organizzazione criminale “Cosa Nostra”  continuità e  soprattutto  varietà di apporti essenziali per il raggiungimento dei suoi fini, ricevendone in cambio appoggio per l’affidamento alle sue imprese delle forniture relative ai lavori per opere da realizzare nel  territorio trapanese”. Del “padrino” Francesco Pace, Vincenzo Mannina secondo i giudici era il «braccio armato», non deteneva armi ma imprese, le imprese erano le armi per minacciare e intimidire i concorrenti che volevano sfuggire alla stretta mafiosa. Sodano era tinto perchè aveva chiuso le porte in faccia a Mannina quando questi si era andato a proporre con la sua impresa quale acquirente della Calcestruzzi Ericina, l’azienda confiscata alla mafia e che continuando ad operare sotto la gestione dello Stato costituiva per i mafiosi ostacolo per i loro intedimenti. Mannina in questa operazione trovò al suo fianco la Confindustria, presidente Marzio Bresciani e direttore Francesco Bianco. Oggi Bresciani raccontando quell’episodio dice che si trovò lì perché era stato dapprima il prefetto a chiamarlo sulle sorti della Calcestruzzi Ericina, e che Mannina arrivò perché contattato (o si era fatto apposta contattare) dalla direzione.

Dapprima il prefetto aveva chiesto di raccogliere sommarie disponibilità, poi si era fermato, aveva trovato la giusta soluzione, l’affidamento alla Calcestruzzi Ericina di commesse legate ad appalti pubblici. Bresciani da presidente si fece indietro, Mannina e la mafia, tentarono fino all’ultimo, fino ad auspicare l’allontanamento, la “cacciata” di quel prefetto. Cosa che avvenne, ma la Calcestruzzi Ericina a quel punto era “salva” dal tornare nelle grinfie dei mafiosi. Forte il legame tra Mammina e Pace, “Vossia mi dissi di no … e iu … ‘nsoccu dici vossia fazzu …”. Tra le pagine della sentenza si coglie l’esistenza di quella che oggi in casi analoghi si chiama “cricca”: a Trapani c’è stata una cerchia di imprenditori che hanno ottenuto commesse pubbliche muovendosi attorno a soggetti mafiosi e politici. Mannina era tra questi con il valdericino Tommaso Coppola e con qualcun altro, tra i nomi spesso ricorrenti quello dell’imprenditore edile Francesco Morici, di recente destinatario di un sequestro da 30 milioni di euro. Mannina trattava con la mafia e per la mafia e nel frattempo si occupava di beneficienza. Un uomo buono, e non solo per la beneficienza, anche da mafioso, così che dinanzi alle sue sventure giudiziarie davvero in pochi hanno preso le distanze. A Trapani c’è una regola che si cancella, le vittime sono coloro i quali commettono i reati, non chi le subisce, tanto a volte da perderci anche la vita.

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