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Quel grido antimafia lungo vent’anni

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di Antonio Maria Mira – A vent’anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, Agrigento ricorda l’evento con una settimana di iniziative, avviate lo scorso Primo Maggio, che culmineranno stasera e proseguiranno fino a lunedì. «Convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio» è lo storico ammonimento, rivolto agli uomini della mafia, pronunciato da Papa Wojtyla il 9 maggio 1993 davanti a una folla di migliaia di persone.   Proprio quelle parole saranno al centro di una tavola rotonda, in programma alle 18 al Teatro Pirandello, dal titolo “Giovanni Paolo II e la storica visita ad Agrigento a 20 anni di distanza: ricordi, attualità, profezia”. Sono previsti gli interventi di: monsignor Carmelo Ferraro, Luigi D’Angelo, don Luigi Ciotti, Settimio Biondi, Vittorio Messina, monsignor Francesco Montenegro. Modera Vincenzo Morgante. Domani è invece in programma un ritiro per sacerdoti e religiosi predicato dall’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone. Domenica, in occasione della Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, don Giulio Albanese interverrà sul tema “Evangelizzazione e comunicazione”. Infine, lunedì a Sciacca è in programma la giornata dedicata ai malati.


«Una cosa è leggerlo sui giornali o vederlo alla televisione, ma altro è vedere direttamente quel volto di madre dolorosa». Sono le parole di Giovanni Paolo II, il 9 maggio 1993, al termine dell’incontro coi genitori di Rosario Livatino, il giudice ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, ad appena 37 anni. Poche ore dopo, nella Valle dei Templi di Agrigento, il Papa lanciò il durissimo anatema nei confronti della mafia, quel «Convertitevi! Verrà il giudizio di Dio!», che sancì una nuova stagione nell’impegno della Chiesa. Una scelta che Cosa nostra percepì chiaramente. Lo stesso anno arrivarono così, nella notte del 28 luglio, le bombe a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro e il 15 settembre l’uccisione di don Pino Puglisi.  Quelle parole del Papa le ricorda bene Ida Abate, 87 anni con freschezza, professoressa di latino e greco del giovane Livatino, da più di vent’anni custode della sua memoria, fondamentale per la causa di beatificazione del “giudice ragazzino”. «Ero presente anche io. Fu un momento particolarissimo e sono convinta che il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, fuori programma, scaturì dal suo cuore proprio dopo l’incontro con quei genitori». Papà Vincenzo e mamma Rosalia toccano il cuore del Papa. «La madre non disse una parola, mentre per tutto il tempo dell’incontro il Papa le teneva le mani, guardandola con tenerezza e sofferenza. Il papà continuava a dire “Santità, avevamo solo lui, ce lo hanno ammazzato”. Non dimenticherò mai lo sguardo del Papa pieno di partecipazione e affetto, qualcosa di straordinario».  Di fronte aveva come una raffigurazione sacra. «C’è una fotografia nella quale il vescovo Ferraro mostra al Papa i genitori e soprattutto la mamma, come a dire “ecce mater dolorosa”. E ricordo l’espressione del Papa dinanzi a quella madre». Dolore ma nel segno della speranza «Il papà disse “hanno reciso un fiore, ma non potranno impedire che venga la primavera”». E anche la professoressa riuscì a parlare, «ricordando Tertulliano: “Dal sangue dei martiri il seme di uomini nuovi”. Il Papa mi guardò con molta attenzione, come per dire “è vero”. Poi disse che Rosario era “uno dei martiri della giustizia e indirettamente della fede”».

Quando sentì le sue parole nella Valle dei Templi che impressione ne ebbe?
Mai avevo sentito una voce che si levasse così alta e forte nei confronti della grande sventura che è stata per la Sicilia la mafia. Ho capito che c’era qualcosa che cambiava, che la Chiesa finalmente si faceva sentire. Nel passato non se ne parlava completamente, era come se la mafia non esistesse, eppure nelle nostre parti c’era, eccome se c’era! Le cose sono cambiate ma purtroppo ancora oggi c’è un clima di mafia, prepotenza e tracotanza e non solo in Sicilia.

Come reagirono i genitori di Livatino?
Eravamo nelle prime file. Il papà e la mamma erano commossi. “Queste parole ci danno la forza per vivere”.

Giovanni Paolo II conosceva la storia di Livatino?
Penso di sì. Non è improbabile che avesse letto il mio libro. Quel venerdì 21 settembre 1990 ero a scuola quando una collega mi venne a dire “hanno ucciso Rosario Livatino”. Non ci volevo credere. Era terribile. Da quel momento ho deciso che me ne dovevo occupare. Pensai di scrivere un opuscolo, ma cosa potevo dire di un  giovane che era stato mio allievo? Poi sono usciti alcuni suoi scritti, le lettere, la mamma mi diede le agende ed è venuto fuori il libro. Cosa mi spinse? Nella prefazione scrissi: “Nell’attuale sovvertimento di valori e disorientamento delle coscienze, Rosario Livatino, sommessamente come nel suo stile, lancia un messaggio che può aiutare a rimontare la china”. Fu un po’ una profezia di quello che è accaduto in questo ventennio. Con tanti cambiamenti positivi. Anche, ne sono certa, grazie alla testimonianza di Livatino.

La causa di beatificazione parte proprio da quella frase del Papa sul martirio.
Sarebbe bellissimo, per tutti e soprattutto per i magistrati. Darebbe forza e motivazione. Rosario rimane un punto di riferimento, in particolare per loro. Quello che scriveva è di un’attualità impressionante. Soprattutto sul ruolo dei giudici.

Livatino non è stato messo a tacere. E come vent’anni fa spinge a parlare e gridare…
Quando andarono all’obitorio il papà non volle vederlo morto. La mamma sì. I medici avevano sistemato il volto sfigurato. Gli avevano sparato in bocca, come a dire “devi tacere per sempre”. Ma quanto sono strane le vie del Signore, perché Rosario, così umile, mai avrebbe parlato come ha fatto dopo la morte. E siamo qui a parlarne assieme a Giovanni Paolo II.

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