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Processo Garofalo, Cosco: Ho ucciso Lea in preda a un raptus

di Marika Demaria il . Lombardia

Dall’inviata a Milano, Marika Demaria – “Io non ho mai avuto l’intenzione di uccidere la madre di mia figlia. Quel 24 novembre 2009 ho avuto un raptus, non so cosa mi sia preso”. Racconta così Carlo Cosco, nell’udienza odierna che lo vede protagonista in qualità di teste. Per la prima volta da quando il processo è iniziato (compreso il primo grado) l’imputato non rende dunque dichiarazioni spontanee, non si avvale della facoltà di non rispondere, ma siede di sua sponte dinanzi alla Corte, sottoponendosi alle domande di accusa e difese.

D’altronde, l’aveva preannunciato già alla riapertura del processo di appello: “Dopo che parlerà Venturino – aveva detto – dirò la mia verità”. Ed eccola, la sua versione di fatti relativa all’omicidio della sua ex convivente e madre di Denise, che coraggiosamente, seduta in una stanza adiacente all’aula, ha nuovamente assistito al dibattito. “La mattina del 24 novembre io sono andato a prendere Lea e Denise in albergo; poi siamo andati nel solarium di Rosario Curcio e Massimiliano Floreale. Lì mi è venuta in mente un’idea: chiedere a Floreale le chiavi del suo appartamento. Denise infatti mi aveva detto che sarebbe voluta venire a vivere a Milano e io ho pensato che per Natale le avremmo potuto fare una sorpresa facendole trovare quell’appartamento per lei. Siamo andati a mangiare pranzo tutti e tre insieme e ci siamo dati appuntamento per le 18 circa, all’Arco della Pace”.

Lì si ritrovano, infatti. Denise viene accompagnata a casa dello zio Giuseppe da suo padre Carlo che poi torna indietro, di nuovo all’Arco della Pace, per prendere Lea Garofalo. “Lei mi ha chiesto del fumo da portarsi via visto che dopo qualche ora sarebbe partita con Denise – prosegue Carlo Cosco – così siamo andati da Carmine Venturino, che però non ne aveva. Così gli ho detto – Sali in auto che ti accompagno a prenderlo. Prima però ci siamo fermati nell’appartamento di Floreale”. Secondo il racconto dell’imputato, i tre salgono e lui inizia a mostrare la casa a Lea. Che si arrabbia.

“Mi ha detto che sono uno stronzo, che avevo detto che non avevo la casa e che invece la casa ce l’ho, ma quella non è mia, infatti io abitavo con Venturino. Poi mi ha detto che non sarebbe più partita da Milano e ho cercato di convincerla ad andarsene, tanto sarebbero ritornate per Natale. Ma lei mi ha urlato contro e mi ha detto che non mi avrebbe più fatto vedere Denise. E io, signor Presidente, non ci ho più visto. Le ho tirato due pugni, l’ho spinta e lei è caduta, sbattendo la testa sul divano. Poi le ho di nuovo sbattuto la testa sul pavimento e ho visto uscire il sangue. Ecco, è andata così. Quale strangolamento! Quale acido!”.

Niente premeditazione dunque, niente vendetta, secondo il maggior imputato per la morte di Lea Garofalo. Nega qualsiasi pedinamento, qualsiasi tentativo di ucciderla nel corso degli anni. “Io in carcere – precisa – le avevo detto di rifarsi una vita ma di lasciarmi Denise, visto che lei voleva andare a vivere a Bergamo. Figuriamoci se ero arrabbiato con lei. Lo sapevo che aveva parlato con i Carabinieri, ma tanto io non ho mai fatto niente, per cui era tutto falso. Di cosa dovevo avere paura?”.

Subito dopo l’omicidio, il corpo di Lea viene avvolto in due lenzuola. “Ho fatto tutto da solo perché Venturino era come scioccato. Infatti per farlo riprendere gli ho buttato addosso dell’acqua. Poi siamo andati via, gli ho chiesto di chiamare Vito e Rosario per andare a togliere il cadavere. Poi non ho più voluto sapere niente”. Anche in questo racconto, così come in quello di Carmine Venturino, dunque, Giuseppe Cosco e Massimo Sabatino non figurano in alcuna fase del rapimento, dell’omicidio e della distruzione del cadavere della vittima. Carlo Cosco racconta di essere tornato a casa non per lavarsi – “non mi ero per niente sporcato” – ma per rilassarsi. Poi va a prendere Denise, la accompagna alla stazione, le dice che non sa dove sia sua madre e le fa il biglietto per la Calabria. Ma quella partenza ovviamente non avviene.

Sia le difese sia il procuratore generale chiedono a Carlo Cosco come mai solo adesso abbia deciso di testimoniare. “Perché prima non era un processo giusto. Si è parlato di acido, di ‘ndrangheta. Tutto falso! Solo adesso sta emergendo la verità”. D’impeto il procuratore Tatangelo risponde: “O forse perché solo adesso si è trovato il corpo e non si può più dire che Lea Garofalo sia all’estero”. Carlo Cosco ha infine negato di appartenere alla ‘ndrangheta, di aver commissionato l’acquisto di materiale mimetico a Carmine Venturino per il blitz di Campobasso che “doveva servire a spaventare Lea. Lei aveva aggredito mia mamma, meritava una lezione. Ho chiesto a Sabatino perché non lo conoscevo, non volevo coinvolgere i miei fratelli in questa vicenda. Gli avevo promesso mille euro, gliene ho dati solo cento”.

L’avvocato Enza Rando, difensore di Denise, ha chiesto a Carlo Cosco se, per rivedere sua figlia negli anni in cui lei e la madre vivevano sotto protezione, si fosse rivolto alle autorità, al Tribunale dei Minori, ai servizi sociali. “No” è la secca risposta, motivata a sorpresa in video conferenza da Carmine Venturino: “Non l’ha fatto perché è vietato dalla ‘ndrangheta rivolgersi alle forze dell’ordine”. Carlo Cosco, nel corso della sua deposizione, ha infine sottolineato di “aver rivisto Denise nel 2009, dopo sette anni di lontananza. Quel giorno, quando ci siamo visti, ci siamo abbracciati, lei piangeva. E io ho ripreso anche i contatti con Lea. Ci vedevamo la sera, di nascosto da tutti perché in paese ti criticano se ti rimetti con qualcuno che ti ha lasciato o che hai lasciato. Abbiamo anche avuto rapporti intimi e infatti lei mi ha mandato l’sms per dirmi che Denise voleva il fratellino”.

L’udienza di quest’oggi si è aperta con la relazione dei professori Sassarola e Cattaneo. Una testimonianza certosina che ha condotto alla dichiarazione secondo la quale, anche se non è possibile dire con assoluta certezza che si tratti di Lea Garofalo, i frammenti ossei corrispondono a una donna della sua età e delle sue fattezze, all’interno di uno dei denti ritrovati era fissata una vite da impianto come emerge anche dalla panoramica dentaria eseguita su Lea Garofalo il 9 maggio 2007, i monili ritrovati a fianco dei frammenti ossei combusti sono i suoi. Il corpo di Lea Garofalo, uccisa il 24 novembre 2009, è stato massacrato fino a ridurlo in oltre 2.800 frammenti ossei. Che sono stati gettati in un pozzetto, a San Fruttuoso.

La prossima udienza di appello si svolgerà il 15 maggio.

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