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Anticorruzione di facciata

Di Alberto Vannucci il . L'analisi

Se davvero “oggi è peggio di tangentopoli” – come lamenta la Ministra della Giustizia Severino per sollecitare l’approvazione del Ddl anticorruzione che ristagna da anni in Parlamento, allora è il caso di ripensare anche agli effetti di quel brodino annacquato del disegno di legge anticorruzione, nel quale per giunta galleggiano alcuni bocconi avvelenati. Per certi versi oggi la situazione è peggiore di quella emersa negli anni pulite, ma la gravità non dipende solo dalla crisi economica che rende intollerabili le ruberie. Né dal fatto che più spesso i politici intaschino i soldi per pagarsi vacanze in resort di lusso, piuttosto che “per il partito” – anzi, partiti ingrassati dalle tangenti sono un fattore più insidioso di inquinamento della politica.
La parabola italiana si riassume nella vicenda umana nell’ex consigliere regionale laziale del Pdl Fiorito, all’epoca protagonista del lancio di monetine al Craxi “ladrone” assediato dai giudici, oggi in carcere con l’accusa di peculato sui fondi destinati ai gruppi consiliari. E’ noto che la corruzione introduce tossine nel gioco democratico perché alimenta alleanze sottobanco, disinnesca il controllo reciproco, favorisce un’omertà sotterranea. In altre parole, allontana la politica dai cittadini, la rende opaca e irresponsabile. Ma negli anni di “mani pulite” almeno prevaleva la speranza che la rivolta morale potesse tradursi in rinnovamento della classe politica e del sistema istituzionale. Oggi in molti prevale la disillusione, anche perché – complici ampi segmenti del mondo imprenditoriale, finanziario, delle professioni, sensibili alle lusinghe della corruzione – il frutto politico di quelle inchieste è stato un quindicennio di restaurazione berlusconiana, con decine di provvedimenti calibrati sulla futura impunità dei tanti imputati eccellenti. E’ comprensibile allora che oggi in molti l’indignazione per gli scandali non si accompagni alla speranza, ma al disincanto sui possibili sbocchi della crisi in atto.
Se questo è il clima prevalente, niente è meglio di una bella legge per consentire a una classe politica falcidiata dagli scandali di mondarsi dei propri peccati, manifestando le proprie buone intenzioni? Peccato solo che l’iniziativa e l’imprinting normativo discendano dal delfino di Berlusconi, Angelino Alfano, e ad approvarla sia chiamato un Parlamento dove siedono un centinaio di inquisiti o pregiudicati per quei reati. Un paio di indizi che di per sé dovrebbero alimentare qualche diffidenza. Una lettura attenta del testo oggi in discussione aumenta le perplessità. Molti si sono concentrati sulle molte omissioni. Sono evidenti le lacune in merito a norme che finalmente puniscano l’autoriciclaggio, reintroducano i reati di falso in bilancio, modificano il regime perverso della prescrizione, integrino con “altra utilità” la contropartita offerta dai politici nel reato di scambio politico-mafioso.
E’ pur vero che la classe politica si fa finalmente carico – vent’anni dopo “mani pulite” – di una questione centrale per il nostro Paese, cercando di adeguare il nostro ordinamento a parametri europei. Ad esempio, istituendo un’Autorità anticorruzione e introducendo i reati di corruzione privata e traffico di influenze illecito. Purtroppo la futura Autorità non avrà alcun potere di controllo patrimoniale sui funzionari, né tanto meno di sanzione. Per giunta sarà “a costo zero”, un po’ come organizzare le nozze dell’anticorruzione coi fichi secchi. Nella versione odierna, la futura Autorità somiglia a un grande burocrate dell’integrità, chiamato a verificare che tutte le amministrazioni abbiano debitamente compilato i moduli che certificano la loro formale elaborazione di documenti dove si proclamerà un generico impegno per la trasparenza. Probabile l’apporto alla deforestazione dell’Amazzonia, più dubbi gli effetti dissuasivi su corrotti e corruttori.
Purtroppo c’è anche di peggio. Le pene per i nuovi reati di corruzione privata e traffico di influenze illecite sono così esigue da impedire l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche, con tempi di prescrizione inferiori alla durata media dei procedimenti penali: quasi una garanzia d’impunità per i futuri imputati. Peggio ancora: per i tribunali un aggravio di ulteriori procedimenti destinati a finire su un binario morto, con un deterioramento complessivo dell’efficienza – già disastrosa – della macchina giudiziaria. Addirittura è stata “spacchettato” il reato di concussione, che oggi prevede una sanzione più severa per politici e funzionari, e per questo è riuscita a mantenere una qualche valenza deterrente. Nella grande maggioranza dei casi, tra cui incidentalmente quelli che interessano Berlusconi e l’esponente ex-Pd Penati, si applicherebbe un nuovo reato di “corruzione per induzione”, per il quale la pena prevista – così come i tempi di prescrizione – si ridurrebbero sensibilmente. E’ bene dirlo: il rischio è quello di trovarci di fronte a una vera e propria amnistia mascherata, visto che la principale ragione di inefficacia del contrasto della corruzione è proprio la prescrizione. Ormai gli imputati mettono in campo squadre agguerrite di avvocati solo per allungare i tempi di processi destinati a un nulla di fatto, contribuendo allo sfascio complessivo della macchina giudiziaria.
Resta il dubbio: meglio una legge anticorruzione con molte ombre e poche luci, o nessuna legge? L’esecutivo, capace su altri temi di intervenire con grande determinazione, non può permettersi ambiguità su questo punto. Gli emendamenti necessari, quelli capaci di toccare i nodi sensibili del sistema, sono noti a tutti gli esperti, e di certo anche alla stessa classe politica: cancellare la “corruzione per induzione” o almeno mantenere sanzioni adeguate alla gravità del reato; introdurre il reato di “autoriciclaggio”; dotare l’autorità anticorruzione di reali poteri ispettivi e sanzionatori; allungare i tempi di prescrizione, o almeno sospenderla in caso di condanna in primo grado; reintrodurre il reato di falso in bilancio; introdurre “altra utilità”, oltre al denaro, come possibile contropartita dello scambio di voti tra politici e mafiosi. Sono le componenti minime e irrinunciabili di una seria e “onesta” legge anticorruzione. Senza di esse, forse è meglio rinunciare a intervenire adesso su questa materia, per non suscitare la pericolosa illusione di aver un problema, destinato invece ad aggravarsi in futuro.
* Alberto Vannucci è docente presso l’Università di Pisa, studioso della materia e autore del libro  “Atlante della corruzione”

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