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Crimine: la ‘ndrangheta è unitaria ma riconosce l’autonomia delle cosche

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Erano attese dallo scorso marzo le motivazioni della sentenza Il Crimine, da quando il Gup di Reggio Calabria emise 94 condanne per gli imputati processati con rito abbreviato. Un dispositivo da molti considerato “debole” nelle pene inflitte – e nelle assoluzioni, ma che, comunque, riconosce l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Una “scommessa” utile per definire la struttura organizzativa della mafia attualmente più potente, radicata, ricca e pericolosa.  

Scrive il Gup che bisogna considerare la ‘ndrangheta: «Come un “arcipelago” che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole». Un’organizzazione criminale che, nel corso degli anni, ha sviluppato un’evoluzione piramidale e tendenzialmente unitaria pur garantendo l’autonomia delle articolazioni territoriali che la compongono. Una mafia federale, in un certo senso, con una struttura centrale che ha poteri simili alla Presidenza della Repubblica nell’ordinamento italiano, e articolazioni territoriali autonome.  

Per il giudice nella ‘ndrangheta si assiste a: «Un modernissimo e difficile equilibrio tra centralismo delle regole e dei rituali e decentramento delle ordinarie attività illecite. Sicché può senz’altro dirsi che gli elementi raccolti nel presente procedimento penale possono realmente costituire la base per un primo vero processo contro l’associazione mafiosa denominata ‘Ndrangheta nel suo complesso, indistintamente dalle cosche di appartenenza dei singoli soggetti indagati».  

Una tendenza storica, quella di ricercare un coordinamento tra le varie ‘ndrine che consentisse regole ben definite, e tutela degli “affari”. Il modo migliore, dopo lunghi scontri e ben due guerre di mafia che sconvolsero la provincia dello Stretto, fu trovato nel Crimine. Un “organo” che – si legge nella sentenza – «Volge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell’organizzazione (una sorta di “Costituzione” criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la Ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilità nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria». Il Crimine, o la Provincia, è il custode delle regole. Ma non solo, garantisce: «Il mantenimento degli equilibri generali, il controllo delle nomine dei capi-locali e delle aperture di altri locali, il nulla osta per il conferimento di cariche, la risoluzione di eventuali controversie, la sottoposizione a giudizio di eventuali comportamenti scorretti».  

Il Crimine, ribadisce il Gup e come lui la Dda reggina, non è paragonabile alla “Cupola” o “Commissione” di Cosa nostra, né il suo capo ha poteri simili a quelli del Capo dei Capi siciliano. Domenico Oppedisano, pur essendo un criminale riconosciuto, non è Totò Riina, ne potrebbe esserlo. Questo perchè chi gestisce il Crimine – eletto dai partecipanti nell’annuale riunione presso il santuario della Madonna di Polsi – deve attenersi ai compiti propri dell’ “istituzione”. Detta in soldoni non può decidere su quali business investire o meno, o quale attività criminale svolgere. Può, invece, intervenire per evitare che le diverse cosche entrino in conflitto tra loro per la gestione di un affare piuttosto che di un altro.  

Una ‘ndrangheta unitaria, inoltre, non è immune da faide. Anzi, per il Gup: «Vi sono fasi patologiche in cui possono verificarsi contrasti interni e delitti gravissimi», ma nei casi analizzati dalla Dda su cui si è sviluppato il processo: «Si tratta pur sempre di episodi che, quando si sono verificati, non hanno messo in discussione gli equilibri complessivi nei termini generali che si sono fin qui descritti». Caso a parte merita l’iniziativa del boss di Guardavalle Carmelo Novella, “compare Nunzio”, che ha cercato di rendere autonoma la Lombardia dal Crimine. Un progetto separatista risolto con l’uccisione di Novella, la creazione di una camera di controllo lombarda, e la nomina di un nuovo Mastro Generale che riportasse l’ordine e il rispetto delle regole. Tutte evoluzioni ben descritte nella sentenza Infinito del Gup di Milano, emessa quasi contestualmente con quella Crimine di Reggio Calabria. 

Un’ulteriore puntualizzazione il Gup la fa sull’assenza nell’indagine di alcune storiche famiglie di ‘ndrangheta. Un “gap” che si è cercato di portare come esempio per smontare la tesi della Procura sull’unitarietà della ‘ndrangheta. Nell’operazione Crimine, infatti, non sono coinvolti i De Stefano di Reggio Calabria né i Piromalli di Gioia Tauro. Due famiglie “pesanti” nello scacchiere criminale calabrese. L’indagine ruota attorno ad alcune figure cardine: Domenico Oppedisano di Rosarno, Giuseppe Commisso di Siderno, Giuseppe Pelle di San Luca e Nicola Gattuso di Oliveto. Mancano all’appello i De Stefano, così come i Condello, i Pesce così come i Bellocco e i Piromalli solo per citare alcune delle cosche più blasonate della ‘ndrangheta.  

Il gup – facendo propria la memoria della Procura –  ne riporta alcuni passaggi: «L’assenza di imputati appartenenti alle famiglie DE STEFANO e PIROMALLI-MOLE’ non solo non costituisce un punto debole per l’impianto accusatorio, ma, anzi, rappresenta un ulteriore argomento che comprova l’esattezza della ricostruzione del fenomeno». «L’esistenza di un’organizzazione unitaria – aggiunge -, infatti, è confermata proprio dal fatto che è stato sufficiente concentrare l’attenzione sui quattro personaggi-chiave sopra indicati (Oppedisano, Commisso, Pesce e Gattuso, ndr) per acquisire elementi a carico delle più importanti ed autorevoli famiglie di ‘ndrangheta calabresi, sia del mandamento tirrenico, sia di quello di Reggio centro e di quello jonico, oltre che delle articolazioni dell’associazione operanti in altre regioni ed addirittura in territorio estero».

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