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Gli affari dei clan nelle banche sanmarinesi

Di Giovanni Tizian il . Emilia-Romagna

Dall’Emilia Romagna a San Marino. Un hotel dove si incontravano colletti bianchi e narcotrafficanti della ‘ndrangheta, un borsone pieno di migliaia di euro, un omicidio, un banca da ingolfare con soldi sporchi, o forse da acquisire. Può sembrare la sceneggiatura di un gangster movie girato tra Bologna, San Marino e la Calabria. Eppure lo scenario descritto dagli investigatori antimafia di Bologna e Catanzaro, è realtà. Il narcos del clan Mancuso si chiamava Vincenzo Barbieri, ucciso nel marzo 2011 in un paese del Vibonese, i professionisti disposti ad accettare la borsa milionaria sono gli ex dirigenti del Credito Sammarinese, l’hotel è il King Rose alla porte di Bologna, poi finito sotto sequestro. 
Tutto comincia quando Vincenzo Barbieri viene arrestato per traffico internazionale di cocaina. E’ a tutti gli effetti un broker della coca per conto della potente cosca Mancuso di Limbadi, provincia di Vibo Valentia. Gode di relazioni importanti, Barbieri. Dialoga con i paramilitari della Auc colombiane: buona parte della “roba” arriva da loro. La cocaina sbarca in Italia, nel porto di Gioia Tauro o in scali minori della provincia di Vibo. Poi con i camion di ditte del clan raggiunge Bologna, e il settentrione. Denari che si accumulano e puzzano. Per questo Barbieri cerca una soluzione d’investimento e trova il modo di entrare a San Marino. Il contatto è Valter Vendemmini, direttore del Credito Sammarinese, un banca fondata nel 2006 e già in grave crisi economica. Il narcos calabrese mette sul piatto 15 milioni di euro. Una proposta indecente, che potrebbe risolvere i problemi dell’Istituto in difficoltà. Impietosa è l’analisi del Gip di Catanzaro che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per i dirigenti del Credito”. Una banca assolutamente in ginocchio che ha pensato di poter rialzarsi ricorrendo ai depositi del crimine internazionale transnazionale”. 
Ma sarebbe stato impossibile per il boss arrivare così in alto senza l’intermediazione di colletti bianchi “in grado di assicurare alla banca gli imprescindibili contatti con i giusti clienti”. A breve il Pm della procura antimafia di Catanzaro e il commissario della Legge di San Marino dovrebbero chiedere il rinvio a giudizio. Intanto è trapelato qualcosa sugli interrogatori. Il presidente e fondatore del Credito Lucio Amati, su cui pende una richiesta di estradizione da parte dell’Autorità sammarinese, lancia accuse su Vendemini e Sandro Sapignoli, responsabile Antiriciclaggio del Credito anche lui tra gli indagati. E alcuni dipendenti ai magistrati hanno raccontato episodi che confermerebbero la spregiudicatezza del trio a capo della banca. “Vendemini è andato a Bologna …” in occasione della consegna dal Barbieri a Vendemini. “Ero a conoscenza della raccolta diretta in quanto Vendemini il 28 dicembre era venuto in ufficio con una borsa piena di denaro che poi ha contato il mio collega B.” E non finsce qui il racconto:  “Tutta l’operazione Barbieri è stata seguita personalmente dal Vendemini. II mio punto di riferimento è stato principalmente con il responsabile antiriciclaggio Sapignoli. Ero a conoscenza, come detto, che l’operazione era gestita da Vendemini”.  
Ma questa non è l’unica storia che riguarda il Credito Sammarinese. Ce ne sono altre. Almeno tre. Una più preoccupante dell’altra. Anche se i protagonisti sembrano quasi innofensivi: una maga, un broker, un panettiere.
Il Credito e la maga Ester. Ha letto le carte a Craxi e a Berlusconi, con il suo patrimonio vorrebbe salvare l’ospedale di don Verzè. Intervistata da Report, Ester Barbagli si sfoga e il giornalista scopre che parte dei suoi soldi sono stati investiti nel Credito Sammarinese. Come ha fatto a raggiungere San Marino la maga Ester? E’ legata da un rapporto di amicizia Mario Amati, figlio del patron del Cs, al quale aveva detto: “Tu un giorno avrai una banca. E io sarò con te”.  Mario Amati intervistato dalla Tv di Stato di San Marino dice di conoscere la maga, ma contesta la cifra degli investimenti, “E’ vero, ci lega un rapporto stretto, decennale. Ma purtroppo la signora non ricorda bene le cifre del suo coinvolgimento, non erano 15 milioni ma 3”. 15 erano quelli della ‘ndrangheta che Barbieri voleva portare nelle casse sicure dell’Istituto. Barbagli ha superato indenne, un indagine sul riciclaggio di soldi della cosca Morabito, i sequestri, le accuse e le condanne per truffa, evasione e usura. Ma con la vicenda del Credito è rimasta fregata, come ha dichiarato lei stessa a Report. 

Modena-San Marino andata e ritorno. Ufficialmente è un broker  nautico. In realtà Gianluca Giovannini sarebbe un riciclatore del clan Facchineri. Almeno così ritengono i Pm antimafia di Milano che indagano sulla cosca Facchineri. Famiglia di ‘ndrangheta da tempo radicata in Lombardia. Un uomo d’affari a tutto tondo, i suoi interessi spaziano dal mare alla pianura, che percorre in lungo e in largo a bordo della sua Maserati targata San Marino. È residente a Nonantola ma si muove senza sosta. E’ una trottola tra Riviera romagnola, San Marino, Bologna, e Monza. 
La sua ascesa è legata alle conoscenze messe sul piatto da Orlando Purita, il socio nel bene e nel male. La cosca Facchineri “si avvaleva per il riciclaggio dei due soci Orlando Purita e Gianluca Giovannini”. Ma non finisce qui perché secondo gli investigatori, i due si sono rivelati “riciclatori professionisti tanto da servire anche un’altra cosca, quella dei Mancuso”. E i Mancuso, ‘ndranghetisti potenti, sono quelli che hanno i contatti con i narcotrafficanti colombiani. In grado anche di penetrare, con i propri capitali nelle casse sicure e discrete del Credito Sammarinese.
Giovannini e Punta sarebbero coinvolti anche in un giro di usura. Un’attività svolta con i denari della ‘ndrina Facchineri, E proprio ai capi della cosca con cadenze precise dovevano consegnare mensilmente una percentuale dell’usura. E qui entra in gioco San Marino dove Giovannini ha dei conti intestati.  “Lì non è festa a San Marino, quindi ci agganciamo lì”. Così i due soci possono rispettare il pagamento al boss “Peppe” Facchineri, che di chiusure festive non ne vuole sentire parlare. A San Marino il 2 giugno non è festa nazionale. Il sospetto è che quei rapporti bancari venissero utilizzati spesso per i movimenti di denaro tra clan e loro complici. Tutto da verificare. Ma sono consapevoli Purita e Giovannini di chi sono i loro interlocutori? I magistrati inseriscono un’intercettazione per dimostrare la loro piena consapevolezza: “Ci prendiamo la zona dei Piromalli e dei Facchineri (due cosche di ‘ndrangheta, ndr), cioè praticamente ci prendiamo noi tutta la Calabria”. Così Giovannini che in tono ironico stuzzica Purita. Una battuta, certo. Ma che secondo gli investigatori “evidenzia la piena consapevolezza”. 

Professionisti della camorra. Franco è conosciuto a San Marino. La sua famiglia gestiva un panificio, che lavorava anche con appalti di importanti cooperative emiliane. E poi Franco ha delle amicizie importanti. Notabili della Repubblica sammarinese. Avvocati, commercialisti, imprenditori. Il cognome di Franco è Vallefuoco. Quasi uno sconosciuto per gli investigatori dell’Emilia Romagna. Abituati ai noti Schiavone, Zagaria, Iovine, Mancuso, Barbieri. Franco Vallefuoco invece agisce in silenzio, cerca la finanza, e gli investimenti immobiliari. E’ un boss moderno. E di lui si conosce poco. Quando la Procura antimafia di Bologna e di Napoli gli notificano due ordinanze di cutodia, l’Emila scopre che Vallefuoco gestiva società finanziarie e società di recupero crediti perfettamente legali, registrate e autorizzate dalla Questura. A San Marino, certo. 
Ma con sedi a Rimini, nel modenese  e in Campani
a. E grazie a un avvocato era riuscito a entrare nella Fincapital, una società finanziaria molto nota e in grado di interloquire con il sistema bancario.  Insieme a Vallefuoco finisce tra gli indagati anche Livio Baciocchi, un insospettabile sammarinese. Sul quale in poco tempo pendono tre indagini diverse, una per concorso in bancarotta e due dell’Antimafia. Attraverso la società di Baciocchi, ora gestita da un commissario, Vallefuoco riciclava i denari del clan camorristico di Raffaele Stolder, di alcuni mafiosi siciliani e del clan dei casalesi, fazione del sanguinario Setola. Questo dicono gli investigatori di Napoli, che a Vallefuoco  contestano  il concorso esterno e non l’associazione mafiosa. Proprio perché il clan di “Franco” agiva come un faccendiere esterno all’organizzazione, forniva un servizio, al suo gruppo e alle altre cosche. Gli inquirenti hanno parlato di 5 milioni di euro riciclati a San Marino grazie alle professionalità messe in campo da Vallefuoco. Soldi della camorra, a cui sarebbero da aggiungere quelli dei consegnati dai mafiosi. Anche “Franco” non sta un attimo fermo. Si muove in lungo e in largo per l’Italia. Controlla che nelle sedi Ises, le sue società di recupero crediti, fili tutto liscio. E così un giorno a Modena, l’altro a Palermo, a Napoli, a Rimini. Gli affari per il clan non conosce limiti chilometrici.

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