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Le “White list” che non ci sono

Di Rosario Cauchi il . Istituzioni, Sicilia

Da alcuni mesi, in parlamento, si discute di contrasto agli interessi della criminalità organizzata in settori strategici dell’economia italiana: fra tutti, quello dell’edilizia.  Tra gli strumenti da tempo ritenuti più adatti alla missione, le cosiddette “White list”: elenchi di imprese pulite redatti ed aggiornati dalla prefetture.  Tra spontaneismo e interventi legislativi, però, questo sistema tarda a partire e, in alcuni casi, non si è mai avviato.  «Al momento – sostiene il componente della segreteria regionale siciliana della Fillea Cgil Ignazio Giudice – il sistema delle white list è, per così dire, in stand by. Molte prefetture non hanno mai stilato elenchi in grado di raccogliere i riferimenti alle imprese sane e, per questa ragione, da tutelare nell’assegnazione soprattutto degli appalti pubblici»

In una direttiva del giugno di un anno fa, firmata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni ed indirizzata ai prefetti, si richiamava esplicitamente la necessità di redigere “White list” in grado di marcare la differenza fra imprese trasparenti ed aziende sospette: con particolare attenzione all’intera filiera edile, dalla vendita di inerti al sistema dei noli.  «Spesso – continua il sindacalista – non si riesce a capire il perché dei ritardi. E’ vero che, soprattutto al sud, le prefetture sono impegnate su vari fronti. E’ altrettanto vero, però, che senza queste liste difficilmente le amministrazioni pubbliche potranno sempre compiere i necessari controlli volti ad impedire l’assegnazione di appalti a società perlomeno grigie».  Ma neanche l’attività  delle camere appare brillare quanto ad efficacia nella preparazione di una specifica disciplina di legge in materia. 

Lo scorso 13 settembre, nel corso di un’audizione davanti ai componenti delle commissioni affari costituzionali e giustizia della camera dei deputati, l’ingegnere Vincenzo Bonifati, delegato per i rapporti con le istituzioni per conto dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha aspramente criticato il contenuto dell’articolo 5 del disegno di legge “per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.  Il provvedimento, infatti, istituisce, ufficialmente, le “White list”.  Ma, stando ai membri dell’Ance, proprio l’articolo 5 sarebbe assai generico nell’individuare i metodi di controllo da applicare e la loro periodicità.  La vera perplessità sollevata dai costruttori riguarda l’assenza di un obbligo d’iscrizione all’interno delle white list: quindi, questi elenchi, in assenza di modifiche legislative, diverrebbero semplici raccomandazioni alle quali le amministrazioni pubbliche potranno, o meno, conformarsi.  Insomma, un vero buco nell’acqua.  Fra i costruttori, infatti, è ancora vivo il ricordo del fallimento delle “White list” avviate per la ricostruzione dopo il sisma abruzzese: anche in quel caso, l’iscrizione negli elenchi stilati dalle prefetture non era obbligatoria, e i risultati, fatti di molteplici inchieste giudiziarie, non si sono fatti attendere.  «Il sindacato – conclude Giudice – non può che sperare nell’avvio di un sistema effettivamente capace di innalzare un muro all’accesso nei cantieri, favorendo le vere imprese e punendo, sonoramente, quelle che impongono il loro dominio partendo da basi patrimoniali illegali. Ne va del futuro di centinaia e centinaia di lavoratori».

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