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Alla conquista del Veneto

Di Cesare Piccitto il . Veneto

«Nell’arco di due settimane ci sono state tre operazioni condotte dalla Dia veneta, documentalmente la penetrazione mafiosa nel tessuto sociale veneziano è innegabile». Sono le parole di Pier Paolo Romani coordinatore di Avviso Pubblico. Alcuni giorni fa è stata sgominata una grossa organizzazione camorristica, affiliata al clan dei Casalesi, operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia. La banda, che aveva la sua base coperta dalle attività della società di recupero crediti Aspide, aveva diramazioni in tutta Italia. Infatti, per eseguire i 29 mandati di custodia cautelare e le relative perquisizioni sono stati impegnati oltre 300 Carabinieri, due unità cinofile e due elicotteri, che sono intervenuti nelle province di Brescia, Cagliari, Caserta, Mantova, Milano, Napoli, Padova, Rovigo, Taranto, Verona, Napoli e Salerno.

Durante le indagini sono stati accertati oltre 100 casi di estorsione a società e oltre 60 di usura aggravata, talvolta con vendite fittizie da parte degli usurati agli usurai. «In questa ultima operazione – commenta Romani – emergono importanti novità. Sembrerebbe esserci un diverso rapporto tra economia legale ed economia mafiosa. Se prima la criminalità in Veneto si poneva solo come “service” per le aziende, oggi la mafia diventa essa stessa imprenditrice, con aziende interamente proprie». Il meccanismo era semplice: Mario Crisci – detto “il dottore” – che comandava il gruppo, prestava soldi agli imprenditori che ne avevano bisogno, con interessi che arrivavano al 180%.

Quando costoro non riuscivano a pagare, cominciavano le intimidazioni, le minacce, i pestaggi e quando necessario anche i sequestri di persona (è capitato due volte) per costringere l’imprenditore a pagare. Anche nel racket emergono delle novità: «Se prima – sottolinea Romani – l’estorsione della criminalità campana era diretta solo ad aziende gestite da campani, oggi non fa più differenza. Le aziende venete vengono vessate con le stesse identiche dinamiche». E quando non rimaneva più nulla, l’imprenditore veniva costretto a fare una vendita fittizia della propria attività, per saldare i propri debiti. Almeno 17 persone hanno fatto questa fine. Per nascondere i pagamenti, spesso veniva usato il sistema di ricaricare le carte posta-pay degli affiliati, creando un vero e proprio stipendio per gli stessi.

I reati contestati sono di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato all’usura, all’estorsione e all’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria Riguardo le reazioni alla criminalità da parte della società civile, Romani conclude: «C’è una efficace azione degli organi investigativi sul fenomeno mafioso. In Veneto non c’è ancora, invece, una reazione adeguata da parte del resto della società. Servirebbe molta più vicinanza agli imprenditori che denunnciano. Lottare insieme sia nel versante legale ma anche nel versante culturale all’interno di tutta la società».

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