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“Le Siciliane” sono tornate

Di Norma Ferrara il . Sicilia

Tremate, “Le Siciliane” sono tornate. Possiamo presentare così il ritorno della casa editrice siciliana diretta e fondata da Graziella Proto. Imprenditrice, giornalista, operatrice dell’informazione, da trent’anni protagonista al femminile del panorama editoriale catanese insieme al direttore Riccardo Orioles, ex de “i Siciliani” il giornale diretto da Pippo Fava, ucciso dalla mafia a Catania nel 1984. Graziella Proto torna, dopo una pausa dettata da difficoltà economiche, alla guida del mensile d’inchiesta “Casablanca” da alcuni mesi nuovamente on line sul portale www.lesiciliane.org e distribuito via mail. Far tornare i conti di una impresa editoriale quando si combattono battaglie civili e sociali, in una regione a monopolio editoriale blindato, è un miracolo. E a compierlo, in Sicilia come in gran parte del sud Italia, sono sempre più le donne. “Casablanca” il mensile d’inchiesta diretto e fondato dalla Proto torna a raccogliere la sfida, non banale, di fornire uno spaccato del mondo sociale: dall’attualità dei lavoratori, delle donne, delle minoranze, al  lungo tentativo di liberazione dalle mafie in corso nella regione e a macchia di leopardo, dal sud al nord del Paese. L’abbiamo intervistata a Marsala durante la kermesse del festival del giornalismo d’inchiesta e oggi, 8 marzo, dedichiamo a lei e alle sue collaboratrici volontarie questa giornata.

Graziella, cominciamo dalla fine. Perché avete dovuto abbandonare la pubblicazione di Casablanca?

Ci siamo dovuti ritirare perché sulla piccola editoria non investe nessuno. In particolare per fare informazione antimafia devi , ancora oggi, pagare di tasca tua. Con questo intendo: metterci il lavoro volontario e contemplare anche, la probabilità, che sulle spalle possano arrivare i debiti di questa iniziativa editoriale. Da trent’anni io ho fatto questo pur di continuare a fare informazione antimafia. Ho iniziato con “I Siciliani” di Pippo Fava e poi ho continuato con questa esperienza di “Casablanca”.

E adesso veniamo al 2010. “Le Siciliane” sono tornate …

Si, ho metabolizzato l’amarezza che mi aveva portato alla chiusura di Casablanca. L’amarenzza ma non i debiti: la mia pensione è “bloccata” sino al 2016. Ma siamo tornate perché continuiamo a rimanere convinte del fatto che in alcune zone, in particolare, sia necessaria una opposizione sociale, un racconto fornito dal mondo dell’informazione. Nel catanese, in particolare, tutto è in mano all’editore Ciancio Sanfilippo. E’ un sistema blindato poiché lui è uno degli imprenditori che ha trasformato la notizia in merce (e questo l’hanno fatto in tanti, a dire il vero) e l’informazione in un affare.

Tornate per lottare contro questo monopolio?

Anche ma non soltanto. Ci rimettiamo in pista e cominciamo da capo perché ci siamo resi conto che le storie di mafia e antimafia vanno raccontate attraverso l’approfondimento e non rimanendo ancorati alla cronaca. Quest’ultima, infatti, rischia a volte di non dare gli strumenti essenziali per questa comprensione profonda del fenomeno. Rischia di non contribuire alla nascita di una opinione pubblica, di non consentire l’organizzazione e la lotta contro le illegalità e sopraffazioni.

Come dovrebbe dunque organizzarsi l’informazione rispetto ai temi dell’antimafia in questo Paese?

E’ un campo di continui cambiamenti e in cui è necessario essere costanti. Va abbandonata l’idea che tutto possa esaurirsi con i giornalisti” inviati” che arrivano, raccontano un contesto e ripartono. Poche responsabilità e rischi. La vera informazione antimafia deve essere fatta sul posto e le notizie vanno contestualizzate, seguite, prima, dopo e durante la loro fase “pubblica”. Le piccole testate che in Sicilia sono una forza enorme (anche se disorganizzate, le une contro le altre, spesso attente al proprio orticello…) a loro è andato in questi anni il ruolo di fare da “antenne” attente, anche per i colleghi dei grandi giornali. Pescando nel nostro archivio della memoria e dell’impegno, posso dire, che un giornalista che faceva “inchiesta” in senso ampio è stato Pippo Fava: 24 ore su 24 indagava la realtà che “I siciliani” raccontavano. Purtroppo sappiamo, anche, com’è andata a finire quell’avventura, quanto sia stato alto il prezzo pagato. Lui ha lanciato una scuola che però è sopravvissuta a quella tragedia, alla sua morte. E’ vero, nessuno di noi si è “sistemato” nei grandi giornali, quelli di palazzo, quelli dell’informazione ufficiale. Ma tutti abbiamo continuato a portare avanti questa “scuola di giornalismo”. Una scuola che vive e si rigenera nei giovani che di generazione in generazione la animano. Oggi continua ad essere difficile avere le strutture, i fondi per portarla avanti. Per garantire loro un futuro diverso dal nostro.

Qual è l’esperimento messo in campo dal progetto editoriale “Casablanca”?

Casablanca voleva essere proprio un esperimento di questo tipo: un’informazione dal basso autoprodotta. Per fare Casablanca mi sono trasformata in imprenditrice (cosa che non avrei pensato mai di fare …). Con un piccolo contributo ricevuto per acquistare le attrezzature abbiamo messo su una redazione: tavoli, computer, telefoni. Tutto era bellissimo, era a disposizione dei giovani. Al giornale arrivarono, da quel giorno, giovani di ogni provenienza sociale, geografica, con diverse motivazioni e interessi.

Un cantiere antimafia e una palestra d’informazione …

Si, tante le realtà che si avvicinarono a noi per dedicarsi al giornalismo d’inchiesta. C’era da parte dei giovani questa voglia di fare l’ esperienza lavorativa d’inchiesta sul campo. Ma le strutture erano e rimangono precarie. Oggi non ci sono più. Per i nostri ragazzi continuare altrove, nelle testate “ufficiali” è molto difficile. Oggi nei giornali vengono “sistemati” solo “i figli di” e difficilmente entra “il figlio del mio portiere”. Ecco a Casalblanca entrava anche il “figlio del mio portiere”…. Siamo tornati oggi con un progetto simile ma puntando soprattutto della potenza della Rete. I costi con internet si abbassano e la possibilità di fare informazione dal basso si amplifica. In questo senso: bentornata Casablanca…

Oggi siete tornati con una redazione virtuale e un giornale distribuito in pdf via mail. C’è ancora spazio per l’inchiesta in Italia e chi la fa?

Non credo che oggi “l’inchiesta” sia un modo di fare giornalismo nel Paese. Ci sono bravi giornalisti, di buona volontà, che si interessano e appassionano alle inchieste. Che fanno tanto e realizzano belle pagine (penso a Gatti, fra i tanti colleghi in prima linea in questo campo). Ma questo non fa di un genere un modo di fare giornalismo. Per questo continuano ad essere centrali le pluralità di voci, il contributo dai territori. Le piccole testate antimafia. Noi siamo abituati a fare volontariato, siamo pronti, lo facciamo già da trent’anni. Siamo giornalisti volontari in trincea.

Per sostenere Casablanca: http://www.lesiciliane.org/

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