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La paura delle idee

Di Vittorio Giacomin il . Veneto

Di questo si voleva parlare
e di questo si è parlato, della pace, che passa attraverso la
guerra, delle inutili morti della guerra stessa, del monito simbolico
che questi morti di guerra lanciano a noi scendono dall’altopiano
con il loro “The Wandering Cemetery”, i loro cimiteri itineranti.
Per fare questo erano stati invitati Bepi De Marzi a raccontare del
suo grande amico Mario Rigoni Stern, uomo della pace, e Alberto Peruffo,
l’ideatore della installazione itinerante del “The Wandering
Cemetery
” con la quale ha partecipato anche alla Biennale di Venezia
nel 2007. Il luogo di tutto ciò, una scuola e il suo cortile che fino
a non molto era anche quello della biblioteca. 

Ecco i fatti: l’installazione
esterna alla sala, ma parte integrante della serata (43 croci bianche
installate temporaneamente qualche ora nel giardino antistante l’aula
magna, comunque dentro il recinto di pertinenza della stessa, ben individuato
dalla presenza del muro di recinzione) sono state fatte rimuovere, seduta
stante, dalla polizia locale per esplicita richiesta dell’Assessore
Zocchetta.

La motivazione: queste croci
avrebbero potuto turbare le persone che desideravano andare ad un incontro
in fase di svolgimento nell’aula Bressan situata a fianco dell’aula
magna, e in subordine, la non autorizzazione preventiva del Sindaco
per la loro infissione temporanea a terra. L’Assessore ha da prima
ordinato in maniera arrogante e scomposta di togliere le croci, poi
ha dato un ultimatum di cinque minuti per rimuoverle, scaduto il quale
ha chiamato la Polizia Locale. Non ha voluto ascoltare qualsiasi giustificazione,
quello era un suo preciso deliberato intendimento e su questa inequivoca
volontà ha dato ordine, quindi nessun dubbio che si sia frainteso,
affinché quelli croci, che avevano la sola funzione di ricordare quanti
hanno fatto la fine di nostro Signore, dovevano essere tolte, e così
è stato. 

Nel pomeriggio di quel giorno
mi ero recato con l’amico Bruno a prendere le croci da Alberto Peruffo
e a lui, per correttezza, avevo illustrato la mia idea per l’installazione
delle croci nel contesto scolastico, ottenendone il consenso. Il giardino
antistante l’aula magna sarebbe stato diviso in due zone: una parte
con delle croci installate in modo geometrico e regolare tale da ricordare
i cimiteri di guerra, una parte molto più caotica con croci a terra
o ribaltate allo scopo di evocare una idea di abbandono o di disordine.
Tra “l’ordine e il caos” ivi rappresentato simbolicamente, un
tema generale in grado di raccogliere questi due opposti. La morte.
Che cosa porta la guerra oltre alle indicibili sofferenze, ai soprusi
sulle persone, in particolare donne e bambini, alle ingiustizie di ogni
genere? Porta la morte che rende tutto uguale. 

Avevo quindi realizzato assieme
a Bruno e Beppe questa installazione nella consapevolezza della caducità 
della vita e di quanto sia ridicolo e pericoloso il potere in ogni sua
manifestazione, di quanto non serva a nulla ad affannarsi per essere
protagonisti e sempre in vetrina, di

quanto le guerre siano inutili
o diversamente utili a coloro che inseguono il solo miraggio del potere,
del denaro, nella certezza infine che il nostro ultimo traguardo saranno
queste croci. Questi simboli volevano solo essere un mezzo differente
che ci aiutasse a riflettere su noi stessi, una sorta di specchio nel
quale guardare la nostra immagine quotidiana, senza prenderne paura,
e da questa trarre le considerazioni necessarie per cambiare questo
stato di guerra permanente basato sul sopruso, l’arroganza, la violenza,
l’informazione distorta. 

Mi hanno particolarmente rattristato
le parole, scandite con livore e violenza verbale, dall’assessore
Zocchetta nei confronti di un cittadino presente. Mostravano semplicemente
l’invidia per la libertà delle idee, mostravano una incapacità di
esprimere un pensiero libero e aperto al confronto , oltre a quella
di non saper sottrarsi da un pensiero che non sia quello stereotipato
e populista che va per la maggiore e ben alimentato anche dalla propaganda
della nostra amministrazione.

Del resto il clima in cui viviamo
è questo: ”In questi casi sarei per la fucilazione e darei alle
forze dell’ordine l’autorità di provvedere all’esecuzione
sul posto dei colpevoli. In altri luoghi, in circostanze di analoga
gravità, si applica la legge marziale, si potrebbe fare anche qui”.
Così si esprime il Presidente leghista della Provincia di Treviso,
e Gentilini, già sindaco leghista di Treviso aggiunge: “ Nessuna
pietà….va applicata la legge di guerra, fucilati sul posto senza
processo”.

Chissà se lo stesso fermo
pensiero sarebbe valso se questi tre disgraziati sorpresi a rubare,
e da condannare senza esitazioni con i mezzi della legge, fossero stati
dei locali, come spesso accade, anziché stranieri. In ogni caso
uno stato civile e democratico non ammette questo. 

Resta certamente l’amaro
in bocca nel constatare come si sia perso qualsiasi freno inibitore
e di come senza vergogna ci si avventuri in qualsiasi iniziativa tesa
a scardinare i principi democratici del rispetto reciproco. Ci vorrebbe,
in questo buio momento, la grande capacità profetica di Walter Benjamin
per intuire dove stiamo andando, lui che a 48 anni ha preferito il suicidio
al lager, lui, per usare le parole di Baricco, che “non cercava mai
di capire cos’era il mondo, ma, sempre, cosa stava per diventare il
mondo. Voglio dire che ad affascinarlo, nel presente, erano gli indizi
delle mutazioni che, quel presente, avrebbero dissolto. Erano le trasformazioni,
che lo interessavano”.

Abbiamo bisogno di profeti,
o forse ci sono, ma il nostro essere è incapace all’ascolto e timoroso
del mutamento. 

Era il 26 settembre, circa
due mesi fa, quando scrissi queste parole: Come scrive S. Settis, se
guardiamo meglio il significato di questo concetto possiamo trovare
un parallelo in un libro del 2006 scritto anche da un cittadino di Sandrigo:
“Fondamenti dell’Etnonazionalismo Volkisch”. In questo libro troviamo
scritto che le “comunità padane” sono la migliore risposta a “un’epoca
etnicamente e culturalmente decadente”, all’”immigrazione allogena,
al materialismo comunista, al mondialismo massonico”. Mi pare che
le matrici razziste e fasciste in questo pensiero non manchino, e spero
tanto che queste preoccupazioni non trovino conferma nei giorni a venire.
Settis spiega bene come questa neoideologia basata sul “sangue suolo
e conoscenza” abbia la necessità di passare attraverso un reimpasto
culturale da veicolare attraverso la scuola. 
 

Ricordo ancora il commento
di un caro amico a questo testo che mi scriveva quanto queste parole
lo avessero fatto rabbrividire ricordando la tragedia del nazismo e
di quanta indifferenza, o incapacità, o non volontà di guardare nello
specchio ci sia attorno a noi e a questo tema, perché narcotizzati
da una cultura dell’immagine, della festa, della sagra. Venerdì sera
abbiamo toccato con mano come questi segni premonitori inizino a radicarsi
nei gesti della quotidianità delle nostre genti. Stiamo andando sempre
più verso quella forma di “tribalismo culturale” del quale ho avuto
già modo di dire, che pervade qualsiasi momento della nostra vita.
Mi pare che impedire solo con la forza del potere e non con quella della
ragione una manifestazione artistica nel giardino di una scuola, luogo
deputato per eccellenza alla cultura, sia un fatto che non ha precedenti
nella storia locale, è un vero record, come ama dire Berlusconi, verso
il basso, verso la sostituzione della storia con la nostalgia e il racconto
favolistico; un fatto che registra quanto la crisi politico sociale
sia grave, e quanto sia necessario trovare tutti gli strumenti, pacifici,
per contrastare questo pensiero dominante.

Quanto accaduto la sera di
venerdì 19 è un vero e proprio atto di aggressione nei confronti
delle idee, paragonabile per certi versi al bruciare i libri. E’ una
brutta pagina di questa Amministrazione che registra un cambio di passo
e che mi auguro possa essere presto rettificata con dei veri atteggiamenti
di pace. 

Chiedo a titolo di esempio.
Non è stato forse l’Assessore Zocchetta a far votare in Consiglio
Comunale una mozione sul rispetto del crocifisso? Venerdì sera ne ha
fatti togliere con violenza, cattiveria, e senza motivo, 43. Il tendere
di tutti noi dovrebbe essere quello di ricordare e di impegnarci, non
come slogan, quanto come prassi, nel senso delle parole di Primo Levi
quando diceva: “ricordare perché non accada mai più”.

Il nostro impegno quotidiano
dovrebbe essere vissuto (è una proposta) nel senso indagato da
Walter Benjamin in alcuni suoi scritti – “nulla di ciò che è 
avvenuto deve essere dato per perso” o “salvare la memoria dei vinti,
dei senza nome” -. Impegno che non deve essere vissuto come un’immagine
univoca, come slogan appunto, quanto piuttosto nella capacità di “far
esplodere” in una eterna attualità ciò che è “autenticamente
unico”. Ricordare perciò senza automatismi, senza aderire ad una
formula identitaria o morale, con “la responsabilità e il rischio
di una rimessa in gioco tanto del passato che del presente” attraverso
la costruzione di un “preciso compito dialettico” che “l’attualità
è chiamata a compiere”. 

Agire pertanto, costruire un
nuovo rapporto dialettico che superi questa oggettività e si apra
a possibilità nuove, allo spazio dell’immaginazione, all’agire
politico senza che “il dovere di memoria rischi di diventare un dovere
al posto della memoria o senza più memoria”, senza quindi la possibilità
che il ricordare un fatto faccia dimenticare il male e il bene, le vittime
e i carnefici.

Questo voleva essere l’iniziativa,
qualcosa di attivo, non il “tempo omogeneo e vuoto” del passato
o del presente, ma “quella determinata epoca, quella determinata vita”,
“quella determinata esperienza nella sua unicità”. Dobbiamo ritrovare
la voglia di costruire qualcosa di nuovo e diverso, radicato nella storia,
ma proiettato al nuovo e alla diversità; la bella, ricca, e molto partecipata
serata di venerdì, ci può far sperare che una via diversa è sempre
possibile.

Occorre però essere vigili
e cercarla con tenacia e senza timore. Concludo, ancora una volta con
una frase di Robeto Saviano che già ho avuto modo di scrivere e nella
quale io mi ritrovo, che è la seguente: “Per questo tutti devono
sapere e chi non reagisce sceglie in qualche modo di essere complice”. 
 

P.S. Preciso, per ragioni di
chiarezza, che quanto scritto vale solo ed esclusivamente a titolo personale.

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