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Il testo integrale dell’appello di Libera

Di Libera Basilicata il . Basilicata

Al Presidente della Repubblica
     Giorgio Napolitano

Al Consiglio Superiore della Magistratura

Potenza, 18 ottobre 2010

Egregio Presidente,

come Lei sa, “Libera – Associazioni nomi e numeri contro le mafie” è da anni impegnata nella promozione di una società in cui parole come giustizia e verità non siano vuote enunciazioni di principio, ma una precisa assunzione di responsabilità da parte di ogni cittadino. Il dovere della memoria, l’affiancare le vittime nel loro doloroso cammino, perché diventi opportunità di riscatto per tutti, è parte integrante dell’impegno quotidiano di tanti e tanti cittadini a servizio dell’Italia.

Il 12 settembre del 1993, a Potenza, scomparve una ragazza di 16 anni, Elisa Claps, e di lei non se ne è saputo più nulla fino al 17 marzo scorso quando è stata ritrovata incredibilmente nel sottotetto della chiesa della SS.Trinità nel centro della città. In quella stessa chiesa, cioè, nella quale un suo amico, Danilo Restivo, quel lontano 12 settembre confessò di essersi fermato con lei per poche decine di minuti e di non averla, poi, mai più vista. Elisa invece non uscì mai da quella chiesa perché – secondo quanto oggi dicono gli inquirenti – fu uccisa in quello stesso giorno quasi certamente a seguito di una tentata violenza e lì fu immediatamente occultata.

Fin dal primo momento il principale indiziato di quella scomparsa risultò essere proprio questo Danilo Restivo che però fu soltanto condannato dal Tribunale di Potenza a due anni e otto mesi di reclusione per false dichiarazioni al Pm. Per la Procura di Salerno, oggi titolare dell’inchiesta, ad uccidere Elisa fu proprio Restivo che tra l’altro, dallo scorso mese di maggio, si trova in carcere in Inghilterra perché accusato di aver ucciso una donna nel novembre del 2002 nella città di Bournemouth, nel sud del Paese.

Ma la vicenda, come Lei Presidente certamente sa, e come si può dedurre anche solo dal fatto che ad indagare oggi siano i giudici di Salerno, è molto più complicata. E non ci riferiamo solo alle modalità del ritrovamento del cadavere che secondo gli investigatori risulta essere solo “l’ultimo” di una serie di ritrovamenti, ma anche al fatto che questa storia è stata caratterizzata sin dall’inizio da una serie interminabile di anomalie, di depistaggi, di false testimonianze: un contorno fitto di misteri, insomma, che ne hanno fatto da subito un caso nazionale, anche grazie allo straordinario lavoro della trasmissione televisiva della Rai “Chi l’ha visto?”, che su questa vicenda, come su tante altre tristi storie del nostro Paese, non ha mai spento i propri riflettori.

Nonostante ciò, però, e nonostante il lavoro certosino di tanti bravi investigatori, di ieri e di oggi, sia di Salerno che di Potenza, qui in città e in tutta la Basilicata un’intera comunità continua ad essere disorientata, divorata da dubbi, paure, e talvolta anche da sfiducia nelle Istituzioni a causa di una serie di coperture, omissioni, depistaggi e incredibili leggerezze nelle indagini iniziali che inevitabilmente penalizzano, e tantissimo, anche il lavoro investigativo di oggi.

In modo particolare, dunque, intendiamo richiamare la Sua attenzione proprio sull’operato della Dott.ssa Felicia Genovese, il Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza che per prima lavorò sul caso, e che attualmente è in servizio  presso il Tribunale di Roma dove il CSM l’ha trasferita nel maggio del 2007 in seguito alle vicende scaturite dalla nota inchiesta giudiziaria denominata Toghe lucane. Con riferimento al lavoro da lei svolto diciassette anni fa ci chiediamo: perché in quel lontano settembre 1993 la Dottoressa Felicia Genovese non dispose una perquisizione accurata di tutti i locali (ribadiamo tutti) attigui alla chiesa della SS. Trinità? Perché non autorizzò la richiesta di sequestro degli abiti di Danilo Restivo sul quale dal primo istante gravarono i sospetti degli inquirenti, e sospetti, tra l’altro, così pressanti che l’allora Dirigente della Squadra Mobile di Potenza in una relazione inviata successivamente alla stessa Genovese ipotizzerà a danno dell’indiziato “un omicidio a sfondo sessuale”? Perché non furono mai acquisiti i tabulati telefonici che riguardavano non solo casa Restivo ma anche altri coinvolti nella vicenda?

Sappiamo bene che i giudici del Tribunale di Salerno nell’ottobre 2001, archiviando un procedimento a carico della Genovese, affermavano che la stessa “appare aver svolto in maniera senz’altro corretta ed esaustiva le indagini concernenti tale vicenda”, tuttavia quelle domande continuano a rimanere senza risposta addensando sempre più ombre su quanto accaduto. Perplessità che non vengono per nulla diradate se poi ci soffermiamo anche su un altro aspetto che riteniamo meritevole di considerazione. È accertato in atti dell’Autorità Giudiziaria, infatti, che il marito della Dott.ssa Felicia Genovese, il Dottor Michele Cannizzaro, già Direttore generale dell’Azienda ospedaliera San Carlo a Potenza, durante gli anni Novanta abbia avuto “contatti telefonici” con esponenti della ‘ndrangheta, e in un caso abbia consumato un “lauto pasto” con personaggi appartenenti a cosche della mafia calabrese in una sua abitazione in località Petile di Calanna (RC), oltre al fatto che a Potenza nel corso del 1994 risultava essere iscritto alla Loggia massonica Mario Pagano.

Certo, ogni procedimento a suo carico è stato sempre archiviato, tuttavia ci sembra abbastanza evidente che anche questi fatti contribuiscono ad alimentare un clima di sospetto e un senso di sfiducia. E francamente, in questi diciassette anni, intorno alla scomparsa della povera Elisa Claps si è respirata l’insopportabile sensazione di vivere in un Paese in cui gli interessi dei potenti si trasformano impunemente in verità negate, e la sensazione di trovarsi di fronte ad un muro alzato per difendere qualcuno, o meglio più di qualcuno.
E se ci è consentito: se non è tollerabile per nessun cittadino vedersi respingere la propria vitale richiesta di giustizia, figuriamoci per la mamma e per il papà di Elisa.

Egregio Presidente, sappiamo bene che la ricerca della verità è un lavoro complesso e che dietro l’angolo c’è sempre il rischio di alimentare ansie giustizialiste che non ci appartengono affatto, motivo per cui il nostro parlare e il nostro denunciare vuole essere sempre rispettoso per le Istituzioni, soprattutto per la Magistratura che per noi è pilastro sacro della democrazia. È per questo motivo che ci rivolgiamo a Lei: perché ritenendo necessario sgomberare il campo da ogni ombra, Le chiediamo, in quanto Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che venga promossa l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti della dott.ssa Felicia Genovese, per verificare, alla luce dei fatti già accertati, se il suo operato nella vicenda Elisa Claps sia stato condotto nel pieno rispetto delle regole, ed inoltre se alla luce dei fatti riguardanti il marito sussistano le condizioni perché la stessa continui a svolgere le sue funzioni di giudice. Riteniamo, infatti, che valga anche in questo caso ciò che il compianto giudice Paolo Borsellino affermava a proposito degli uomini politici: “C’è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. No. La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le Istituzioni hanno il dovere di estromettere uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali”.

Con referente stima per ciò che Lei rappresenta in questo momento nel nostro Paese e con immutata fiducia per le Istituzioni che Lei personifica con enorme autorevolezza morale, La salutiamo fiduciosi in un Suo intervento.

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