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Don Cozzi: “Temo per la mia vita”

Di Mariangela Zaccagnino il . Basilicata

“Potenza mi ricorda la provincia
agrigentina degli anni Novanta in cui fu ucciso il giudice Rosario
Livatino. Temo per la mia vita ma continuerò a chiedere verità
senza fare sconti a nessuno, senza farmi intimidire. A chiederla per
Elisa Claps, ma anche per i fidanzatini Luca e Marirosa, per Tiziano
Fusilli, per Vincenzo De Mare, per Pinuccio Gianfredi e mando a dire
ai responsabili di questi omicidi e dei loro depistaggi che c’è un
solo modo per chiudermi la bocca: eliminarmi fisicamente. Lo hanno
fatto in queste occasioni non avrebbero problemi a farlo con un
prete. Ma devo anche dirgli che per uno che eliminano c’è ormai
una Basilicata intera che ha deciso di andare avanti. In questa
regione c’è un forte vento di speranza che nessuno potrà più
fermare. Si devono rassegnare tutti”. Non usa mezze parole don
Marcello Cozzi, referente per la Basilicata dell’associazione
Libera, per rivolgersi ai responsabili e ai complici degli omicidi
lucani ancora senza colpevoli. “Tranquilli tutti: io continuo”, è
una preoccupazione per pochi ma una rassicurazione per molti.

Il clima di tensione che si respira in
Basilicata nasce all’indomani del ritrovamento del cadavere di Eisa
Claps, la studentessa uccisa il 12 settembre del 1993, nel sottotetto
della chiesa Santissima Trinità di Potenza. Era il 17 marzo scorso e
da allora nulla è stato più come prima per una regione che ha più
abitanti sparsi per il mondo che tra i confini geografici.

La situazione è poi degenerata dopo la
manifestazione organizzata da Libera il giorno del 17esimo
anniversario della scomparsa della ragazza, lo scorso 12 settembre.
D’avanti alla chiesa della Trinità, sepolcro di Elisa per 17 anni,
don Cozzi, per l’ennesima volta, è tornato a chiedere verità e
giustizia su una vicenda che sembra senza fine. “Chiedere verità e
giustizia – ha detto il prete – significa chiedere al Csm se non
sia il caso che una volta per tutte si accerti la legittimità
dell’operato della dottoressa Genovese. E visto che ci siamo,
chiedere verità e giustizia significa chiedere direttamente al
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, presidente del Csm,
se è normale che da anni continua a fare quel mestiere – il
giudice – una donna il cui marito non poche volte negli ultimi anni
ha avuto contatti telefonici con uomini della ‘ndrangheta. Il che
non è reato ma in un Paese come questo divorato dai sospetti, questa
sgradevole coincidenza, anche solo per una questione di opportunità,
la si potrebbe eliminare”.

Dal giorno dopo il caos. Non è la prima volta che l’esponente
di Libera punta il dito contro il lavoro di Felicia Genovese, il pm
che nel 1993 indagava sulla scomparsa di Elisa e che non fece mai
richiesta per l’acquisizione dei vestiti di Danilo (che per sua
stessa ammissione erano insanguinati), e dei tabulati telefonici di
casa Restivo. Un giudice dell’antimafia, la Genovese, sposata con
l’ex direttore dell’ospedale di Potenza, Michele Cannizzaro, che
ha avuto contatti telefonici con uomini della ’ndrangheta. Scrive
il pm di Salerno Gabriella Nuzzi nella relazione per la richiesta di
archiviazione delle accuse nei confronti di Luigi De Magistris:
“Dalle investigazioni svolte emergevano alcune significative
circostanze atte a delineare il particolare contesto ambientale di
consumazione dei fatti delittuosi, la condotta tenuta dalla dr.
Genovese nelle prime investigazioni, la personalità del marito
dottor Cannizzaro, le frequentazioni ed i suoi legami con ambienti
criminosi – in particolare, con Gianfredi Giuseppe, vittima del
duplice omicidio – i contatti con esponenti della criminalità
organizzata calabrese, i suoi interessi economici che, allora, come
oggi, non potevano, comunque, non apparire “inquietanti” in
relazione alla natura dell’attività svolta dalla moglie dottoressa
Genovese, designata all’incarico di Sostituto Procuratore della
Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, nell’ambito, cioè,
del medesimo luogo di consumazione degli accadimenti delittuosi”.
“Inquietanti”, per il pm, i contatti di Cannizzaro con esponenti
della mala, in relazione al lavoro svolto dalla moglie, giudice
dell’antimafia. Per parole come queste pronunciate da don Cozzi
sulle scale della Trinità si è sollevato un vespaio di polemiche.
Un giornale locale ha definito “rissa” una discussione tra
esponenti di Libera e dell’Azione cattolica, che, in molti casi,
fanno parte di entrambi i movimenti. Ha scritto di un’ipotetica
faida tutta interna alla Chiesa subito smentita, con voce unica, dai
preti potentini. Ha inviato per errore una e-mail all’addetto
stampa di Libera definendo “demoni” gli attivisti
dell’associazione. Chi era il vero destinatario di quella
comunicazione? Come può un giornale trattare con obiettività le
iniziative di persone che definisce demoni? Come può un magistrato
dell’antimafia svolgere con obiettività il suo lavoro se per
consorte ha un uomo che ha avuto “contatti telefonici con esponenti
della criminalità organizzata calabrese?” E’ per avere risposta a quest’ultima
domanda che il coordinamento lucano di Libera avvierà una raccolta
di firme da inviare al Csm.

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