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L’isola civile, segni di speranza

Di Lorenzo Frigerio il . Recensioni

L’esperienza di Confindustria Sicilia e di Addio Pizzo, la rivolta dei commercianti e degli imprenditori, la lezione di Libero Grassi e il coraggio di quanti hanno messo in discussione il sistema delle estorsioni nella regione tradizionalmente ostaggio del racket. Questo e tanto altro ancora è quanto viene raccontato con maestria e ricchezza di informazioni ne “L’isola civile”, libro ben scritto da Serena Uccello e Nino Amadore, due firme de Il Sole 24 Ore, impegnati da anni a raccogliere i segnali di cambiamento che provengono dal sud del nostro paese. L’avvincente racconto prende il via con la storia dell’incontro che ha cambiato la storia recente del contrasto alle mafie da parte dell’imprenditoria più avanzata del meridione. Stiamo parlando della riunione che si tenne il 1 settembre del 2007 a Caltanissetta. 

Su invito del presidente Ivan Lo Bello, si diedero appuntamento i rappresentanti provinciali dell’associazione degli industriali, da Marco Venturi ad Andrea Vecchio, da Giuseppe Catanzaro a Salvatore Moncada, da Nino Salerno ad Ettore Artioli. Una nuova generazione di imprenditori, pronti a prendere una posizione semplice ma rivoluzionaria allo stesso tempo: chi paga il pizzo è fuori dal sistema confindustriale. A spingerli a questa drastica decisione, la constatazione dell’impossibilità di creare lavoro e sviluppo, dovendo sopportare anche il giogo parassitario del crimine organizzato. Un giogo documentato dai libri mastri ritrovati durante l’operazione “Gran Mandamento” del 2005 o da quelli sequestrati al boss Lo Piccolo nel 2007, dalla cui lettura emerge drammaticamente il soffocante controllo del territorio, con imposizione di ogni cifra imposte ad ogni genere di negozi e di imprese, un territorio “dove anche i chiodi pagano il pizzo”. 
Gli autori ci tengono a precisare che non si tratta di eroi isolati, bensì di uomini normali, accomunati dal desiderio di poter esprimere la propria capacità imprenditoriale, misurandosi con le regole del mercato e contando sulle proprie conoscenze. In alcuni casi hanno alle spalle altre storie di ribellioni alle imposizioni mafiose, in altri, più controversi, non c’è dubbio che nel loro gesto di sfida alle cosche molto pesi il desiderio di fugare dubbi di connivenza e quieto vivere che hanno riguardato le loro famiglie fino al punto della rottura irreversibile. “Si consuma così – si legge nel libro – un atto di ribellione, una vera sovversione, o piuttosto un percorso di emancipazione e, senza retorica, di liberazione. Soprattutto da quella che, fra tutte le forme di pizzo, è la più pericolosa: il pizzo come abito della mente, come impronta culturale di una società”. 
Una vera e propria sovversione quindi, che marca un prima e un dopo nella lotta alle mafie; un prima dove persone come Libero Grassi hanno pagato con la vita il rifiuto all’imposizione mafiosa, trovandosi completamente soli; un dopo con i ragazzi di Addio Pizzo che, dal 2004, hanno dato vita ad una rivolta morale che oggi inizia a produrre i suoi frutti, compresa la nascita della prima associazione antiracket palermitana, Libero Futuro, al termine di un’affollata assemblea cittadina al Teatro Biondo il 10 novembre 2007, altra data da passare ai posteri. Allo stesso tempo, durante tutto il racconto dei due giornalisti, ritornano puntuali gli accenni alla potenza economica delle cosche che ancora oggi riescono a fatturare oltre 130 miliardi di euro all’anno, con un utile netto superiore ai 70 miliardi di euro. 
Tutto questo mentre i meccanismi del sequestro e della confisca sono ancora farraginosi e vanno messi a punto. Eppure anche in questo caso, le esperienze positive non mancano, come quella che viene raccontata della Calcestruzzi Ericina Libera, dove alla guida della fabbrica di Trapani, al boss Virga è subentrata una cooperativa di lavoratori, grazie al supporto di un uomo dello Stato come il prefetto Sodano che ha saputo resistere alle pressioni e portare a termine la delicata operazione di confisca, prima di essere spostato ad altro incarico e perdere la salute e, conseguentemente, la vita stessa. Gli autori passano in rassegna decine e decine di storie di impegno, nel loro viaggio attraverso “l’isola civile”, incontrando storie di resistenza quotidiana a Messina, come a Catania e Caltanissetta. Raccontano di un nuovo impegno in difesa della qualità delle idee e del lavoro, di nuove esperienze nel campo dell’industria dell’energia rinnovabile e di vecchi e consolidati mestieri artigianali. Tutte queste storie sono animate da un filo rosso che collega le fatiche dell’oggi alla speranza di domani. 
Al termine c’è il tempo anche per descrivere la proposta avanzata da Tano Grasso, presidente onorario del FAI (Federazione Antiracket Italiana), che prevede l’obbligo di denuncia del pizzo. Una legislazione di supporto agli imprenditori, che, sulla falsariga di quella prevista per i collaboratori di giustizia, introduca degli incentivi alla collaborazione con lo Stato e proprio con questo auspicio si chiude il libro: “Senza pizzo non c’è mafia. Senza i pentiti Cosa Nostra sarebbe ancora forte. La mafia siciliana, se pur lentamente sta perdendo piccoli pezzi del suo potere. Agli imprenditori-pentiti, agli imprenditori-sovversivi l’ennesimo, ultimo, probabilmente risolutivo colpo”.

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