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Le mafie all’ombra del Duomo

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

In Lombardia, in questi ultimi mesi, si rilancia da più parti e con toni sempre più ansiosi l’allarme mafie, in considerazione del naturale interesse delle cosche per le ingenti risorse previste per la realizzazione del prossimo Expo 2015. Uomini politici e opinion leader si dicono seriamente preoccupati della possibilità che le mafie si infiltrino negli appalti miliardari presto al via. Del resto, è ormai stato sancito in diverse sedi processuali del nostro paese il dato che individua uno dei business maggiori delle mafie proprio negli appalti pubblici.

Tuttavia, nel gran polverone alzato dai media, a molti sfugge quella che è invece una drammatica realtà: le organizzazioni mafiose sono presenti da molti decenni a Milano e in Lombardia. A partire cioè da quando l’istituto del soggiorno obbligato portò molti boss di primaria grandezza e manovalanza criminale nelle regioni del centro e del nord, in particolare in Lombardia. La presunzione che i mafiosi, lontani dai loro luoghi di origine, potessero essere portati a più miti consigli e cambiare vita, si rivelò quanto mai fallace e perniciosa nel suo divenire.

Infatti, a partire da Milano e dal suo hinterland, gli uomini delle mafie siciliana e calabrese seppero prima costruire una fitta rete di alleanze con esponenti criminali già operativi in città e poi consolidare i loro business. Dalla stagione dei numerosi sequestri di persona, nacquero importanti opportunità per moltiplicare il denaro dei riscatti: il traffico di sostanze stupefacenti su tutti gli altri, ma anche il contrabbando di preziosi e di armi in anni lontani e, ai giorni nostri, la tratta degli esseri umani e il traffico di rifiuti, compresi quelli speciali.

Nelle pagine di un saggio pubblicato da Aggiornamenti Sociali, il mensile italiano della Compagnia di Gesù, si ricostruiscono decenni e decenni di pericolosa sottovalutazione da parte dell’opinione pubblica, durante i quali le cosche hanno potuto prosperare e aumentare il loro peso specifico a Milano prima e poi nel resto della Lombardia. Così la rivista dei Gesuiti presenta lo studio pubblicato nel numero di novembre: “Smentendo superficiali stereotipi, le organizzazioni criminali di stampo mafioso si mostrano ben radicate sul territorio lombardo da almeno cinquant’anni; la loro presenza alterna fasi di maggiore visibilità a livello di fatti di sangue a periodi in cui le armi tacciono, sulla base di una strategia di infiltrazione silenziosa nel tessuto dell’economia e della società. Molte inchieste, anche recentissime, indicano che a Milano non manca nulla: affari nel settore immobiliare, stupefacenti, tratta di esseri umani, traffico di armi e di rifiuti. E i capitali messi in moto dall’Expo 2015 rischiano di essere una redditizia opportunità di consolidamento”.

A ragion veduta si parla di consolidamento della presenza mafiosa e non di infiltrazione possibile: il primo rischio che oggi corre la regione motore economico del nostro paese è quello di non comprendere la portata di un fenomeno quale quello mafioso che non lascia troppi spazi di interlocuzione. Quando siamo ammalati, la prima cosa da fare sarebbe riconoscere di essere ammalati; solo così si può decidere di ricorrere al medico e di curarsi.

In Lombardia e a Milano, invece, si continua ostinatamente a proclamarsi immuni dalla presenza mafiosa; vuoi perché lo si è convinti davvero, per ingenuità o sottovalutazione; vuoi perché non si vuole ammettere di avere il problema, in quanto sarebbero chiamati in causa i meccanismi della politica, della finanza e dell’economia.

Tocca alla società civile farsi sentire, perché solo prendendo coscienza del ruolo delle cosche in città e nella regione si può avviare la stagione del risanamento. 

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