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L’economia al “femminile” dei Casalesi

Di Giovanni Tizian* il . Emilia-Romagna

Vere e proprie manager capaci di gestire
le entrate del Clan destinate sia al sostegno dei detenuti sia per mandare
avanti gli affari leciti e illeciti. Sono le donne dei boss delle mafie
moderne. Non è la prima volta che le signore dei boss vengono arrestate,
non è nemmeno un caso che nella rete degli investigatori sia finita
la moglie di Raffaele Diana, uno dei reggenti del Clan casertano arrestato
qualche mese fa dopo sei anni di latitanza. Il Clan dei casalesi si
fonda essenzialmente sulla famiglia, ecco perché non è raro ritrovare
nelle diverse operazioni di polizia i figli dei boss arrestati anni
addietro o le loro mogli, i loro cugini o i parenti stretti. Il vincolo
familiare è una caratteristica importante del Clan dei Casalesi, così
come lo è fondamentale per la ‘ndrangheta, per la mafia e in misura
minore per la camorra napoletana. Madri, figlie e figli che prendono
il posto dei padri e portano avanti la loro aurea di potere sul territorio,
riscuotono i “tributi”e gestiscono la ricchezza del Clan. Accanto
al ruolo del manager, la donna di mafia è legata fortemente alla tradizione
e all’ osservazione delle regole mafiose. Il ruolo femminile nei meccanismi
mafiosi si pone quindi a metà strada tra il rispetto delle tradizioni
arcaiche e la capacità di gestione del patrimonio mafioso. Le donne
che meglio riescono a sintetizzare tale dicotomia riusciranno a ottenere
prestigio, potere e rispetto. O meglio avranno la possibilità di mantenere
solido l’impero costruito dai loro mariti prima di finire in celle
fredde e isolate. Le donne del Clan possono scegliere di investire in
interi settori economici, ma non possono assolutamente truccarsi e curare
l’aspetto esteriore quando i mariti sono in carcere. Il loro aspetto
esteriore rispecchia la posizione di potere del proprio marito: quando
il boss è libero, vicino e comanda la donna si cura, si veste bene
e ostenta le griffe. Diventano invisibili e trasandate quando i mariti
finiscono in carcere, ma allo stesso tempo acquisiscono le redini del
comando facendo le veci del capofamiglia in carcere. Le tre donne arrestate
nell’ultima operazione, Maria Capone e Angela Diana, rispettivamente
moglie e figlia del boss “Rafilotto” Diana, insieme a Barbara Crisci,
moglie di Giuseppe Caterino( capozona nel modenese per conto del Clan
prima di essere arrestato, al quale è subentrato Diana), avevano in
comune la capacità gestionale e l’abnegazione alle regole del Clan
che impone loro il sacrificio, la sottomissione e la subalternità al
ruolo del boss mafioso. Una capacità imprenditoriale dimostrata anche
dalla ragazza straniera, vicina al figlio di “Sandokan”, arrestata
a Modena nella penultima operazione che ha portato all’arresto delle
due guardie penitenziarie. Il suo ruolo? Gestire i proventi delle bische
e mantenere i contatti con la casa madre. Per un affare che portava
nelle casse del Clan 100 mila euro ogni due settimane era necessaria
una persona di fiducia e non sono rari i casi di donne, mogli e fidanzate
di boss, accusate di associazione mafiosa e incaricate di gestire gli
affari del clan. Poco piombo e molti affari, questa la politica d’infiltrazione
nel tessuto economico modenese decisa dai vertici dei casalesi alla
quale partecipano attivamente anche le donne.

* La Gazzetta di Modena

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