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E’ stato il “Ringo della Comasina” ad uccidere Crisafulli

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

È
durata meno di due giorni la fuga dell’assassino di Franco Crisafulli,
raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco esplosi contro di lui la
scorsa domenica 24 maggio, mentre si trovava in un bar in via Satta, alla
periferia di Quarto Oggiaro, da sempre noto come il Bronx milanese. Nella
macabra contabilità del blitz omicida dell’altra sera anche altri tre
feriti, due italiani e un albanese trovatisi casualmente sulla linea di fuoco.

La
collaborazione spontanea degli abitanti del quartiere, spesso a torto
considerato malfamato, è stata decisiva per indirizzare le indagini degli
inquirenti. L’uomo finito in manette è Donato Faiella, un 62enne
originario di Foggia, soprannominato il “Ringo della Comasina”,
a testimonianza della facilità con cui sapeva far ricorso alle armi, in anni
ormai lontani e in un quartiere altrettanto malfamato di Milano, come la
Comasina. L’omicida è stato prontamente riconosciuto da alcuni cittadini
che hanno assistito alla scena, perché abituale frequentatore delle vie del
quartiere. Anche per questi motivi il capo della Squadra Mobile di Milano,
Francesco Messina, nell’immediatezza aveva escluso la matrice mafiosa: Non sembra che
la sparatoria sia direttamente riconducibile alla criminalità organizzata, ma
che sia riconducibile a una rivalità tra i due: un’azione eclatante, un po’
all’antica”
.
Le stesse modalità di esecuzione del delitto lasciavano presagire questa pista:
l’uomo era giunto da solo davanti al bar, era a volto scoperto e, dopo
aver sparato inveendo contro Crisafulli, si era allontanato a piedi in
solitaria, nonostante qualcuno dei presenti avesse dichiarato alla polizia che ad
attenderlo in auto si trovava un complice.

Una
volta confermato il fermo, Faiella ha confessato anche al magistrato di nutrire
motivi di rancore e risentimento personale non ben definiti nei confronti di
Crisafulli e anche del tabaccaio, Nicola Brunetti, 56 anni rimasto ferito
l’altro sera e ancora in prognosi riservata, in quanto ritenuto amico
fidato del primo. “Rancori, attriti
e screzi personali”
, probabilmente maturati in anni lontani e
all’interno del carcere – Faiella è stato rinchiuso per 25 anni,
anche in seguito all’accusa di sequestro di persona in danno della figlia
di un imprenditore milanese – durante un periodo di detenzione comune
trascorso con il Crisafulli.

Dopo
i primi appostamenti e le ricerche, gli uomini della Mobile hanno rinvenuto
Faiella che, per evitare di essere catturato, si era dato alla macchia,
nascondendosi prima in alcuni campi incolti del quartiere e poi in alcune
baracche fatiscenti nei pressi di Via Longarone, evitando di fare ritorno a
casa o di ricorrere all’aiuto di amici che aveva a Quarto Oggiaro. La sua
fuga disperata e inutile quindi si è conclusa poco dopo le dieci di ieri sera,
quando è finito in manette. Confermata per il momento il movente personale. Ora
l’uomo dovrà rispondere di omicidio premeditato nei confronti di Franco
Crisafulli e di tentato omicidio nel riguardo degli altre tre rimasti feriti
l’altra sera.

Se fosse confermata la causale
dell’omicidio, resterebbe solo da mettere in evidenza la fine banale di
un rampollo di una prestigiosa famiglia mafiosa, un tempo leader indiscussa del
quartiere e del narcotraffico sulla piazza milanese. Il cognome dei Crisafulli, originari
di Comiso, provincia di Ragusa, incuteva paura solo ad essere nominato un tempo: Biagio, detto “dentino”
e Alessandro, più ancora di Franco, erano annoverati tra gli esponenti più
illustri di Cosa Nostra in Lombardia.

Che oggi, l’ultimo dei Crisafulli
– mentre gli altri sono in carcere per scontare le condanne per
associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, comminate loro in esito
all’operazione della DDA di Milano denominata “Terra
bruciata”
– venga ucciso per strada come un piccolo bullo di
periferia, per vecchi rancori personali, potrebbe essere, paradossalmente, un
segno che le vecchie gerarchie non tengono più e che il rispetto dovuto alle
famiglie d’onore non è più da freno all’esercizio della vendetta
privata.

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