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L’economia illegale in Toscana

Di Tiziana Barillà il . Toscana

Il 12 maggio, dopo due anni di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Firenze, la Guardia di Finanza con una operazione anti-camorra condotta nelle province di Napoli, Salerno, Caserta, Prato, Lucca, Milano e Lodi, ha sequestrato beni per 10 milioni di euro ed eseguito 8 arresti.  L’operazione Botero ha consentito di smascherare una rete criminale operante nelle regioni Campania, Toscana e Lombardia, dedita al riciclaggio del denaro sporco per conto della camorra al Nord Italia, attraverso l’acquisto di immobili ed avendo come base operativa Prato. 

Il denaro, circa un milione di euro, era quello proveniente dal traffico degli stupefacenti gestito dal clan Mazzarella, ma anche dalle attività di usura, riciclaggio, ricettazione, estorsione, abusiva attività finanziaria e impiego di beni o utilità di provenienza illecita. 

Tra gli arrestati, infatti, compaiono personaggi quali Salvatore Orabona, esponente di spicco del clan dei Casalesi, che lo scorso 12 dicembre sfuggì a un agguato tesogli da Giuseppe Setola e Salvatore Coppola, ritenuto dagli inquirenti uno dei punti di riferimento del clan dei Mazzarella. 

I proventi delle attività criminali venivano investiti in una società immobiliare di Prato, riconducibile a Mario Papale ed alla moglie Rosa Iacomino, entrambi di Ercolano, e ad al Alberto Tradii, di Lucca. Il denaro veniva movimentato presso una banca pratese. Riemerge, dunque, il ruolo che le banche potrebbero e dovrebbero avere in contesti di questo tipo. Come lo stesso Procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi ha sollecitato: “Le banche devono rendersi conto che il riciclaggio di denaro si realizza anche attraverso di loro; tutte le operazioni bancarie sospette devono essere segnalate. Questa sollecitazione al mondo bancario è un ‘mayday’ necessario visto che le banche sono destinatarie di norme precise in materia di riciclaggio e usura”.  

Sempre a Prato, sul fronte del contrasto all’illegalità economica, lo scorso 29 aprile un’ampia  operazione di verifiche fiscali, condotta dalla Guardia di Finanza e ancora in corso, ha sottoposto a controllo la “Chinatown” pratese. In un solo giorno sono state esaminate 50 attività cinesi operanti in tutta la provincia. Il risultato: 6 aziende sequestrate, 70 lavoratori in nero scoperti, 50 clandestini espulsi, altri 7 arrestati in flagranza, più il sequestro di 30.000 giocattoli pericolosi, 200mila borse e accessori, 7 chilometri di tessuto contraffatti e 50.000 capi di abbigliamento recanti false etichettature Made in Italy. Inoltre, all’interno di aziende della zona industriale, è stata accertata l’esistenza di ditte fantasma. Vere e proprie sweatshop, ovvero fabbriche del sudore in cui nella promiscuità degli ambianti di lavoro e di vita privata veniva praticato lo sfruttamento della manodopera clandestina. Al sequestro degli immobili, ovviamente, si connettono una serie di contestuali accertamenti nei confronti delle società pratesi che hanno affittato i locali ai commercianti cinesi.  

Due casi che oltre ad accertare gli interessi economici dei clan nel territorio toscano, segnalano la compresenza di cittadini e commercianti toscani all’interno delle reti criminali. Questo a smentire ancora una volta l’idea di un colonialismo criminale che si radica con la forza e ad evidenziare piuttosto come l’economia criminale possa filtrare i tessuti economici del nostro paese tutto.  Considerazioni queste che, se prese per buone, lasciano perplessità sul continuare a considerare la Toscana un luogo in cui la presenza delle criminalità organizzate sia un fenomeno marginale.

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