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I falsi mutui della ‘ndrangheta per truffare le banche

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

“La stangata”: chi non si ricorda il celebre film con protagonisti Paul Newman e Robert Redford? Da ieri questo è anche il nome attribuito all’ultima operazione della Squadra Mobile di Milano che ha portato alla luce un ingegnoso sistema che la ‘ndrangheta aveva escogitato per truffare le banche.

Il sistema architettato era davvero geniale e, in tempo di crisi economica quale quella che stiamo vivendo, ancor più remunerativo se possibile. Una banda, collegata in modo organico alla potente cosca dei Barbaro-Papalia della ‘ndrangheta, si era specializzata in una serie di truffe organizzate ai danni di alcune filiali di Unicredit, indotte fraudolentemente alla concessione di mutui per la casa a prestanome di comodo, mutui gonfiati ad arte e le cui somme erogate finivano direttamente nelle tasche dei mafiosi. Grazie a questo sistema si stima che l’organizzazione mafiosa abbia lucrato qualcosa come oltre 800mila euro in un solo anno.

Ieri mattina gli uomini della Squadra Mobile hanno fatto scattare le manette per otto persone, mentre altre sette sono finiti agli arresti domiciliari: i reati contestati sono associazione per delinquere e truffa e le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal Gip Gaetano Brusa dietro richiesta del pubblico ministero Lucilla Tontodonati della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. A capo del sodalizio criminale c’era Giuseppe Pangallo, un 29enne di Platì (RC), ritenuto dagli inquirenti elemento di punta del clan facente capo alle famiglie dei Barbaro e dei Papalia, storicamente insediate nell’hinterland di Milano. Pangallo, infatti, arrestato alcuni anni fa per traffico di sostanze stupefacenti, ha uno stato di famiglia davvero importante, in quanto è genero di Rocco Papalia e cognato di Salvatore Barbaro, da anni leader incontrastato della ‘ndrina che opera tra Buccinasco e Corsico, due centri della periferia sud ovest di Milano.

Dalla ricostruzione operata nel corso delle indagini, la prima fase della truffa consisteva nel reperire immobili in vendita soprattutto nel lecchese e nell’hinterland di Milano, il cui valore di mercato veniva gonfiato in modo spropositato grazie all’intervento di alcune perizie compiacenti e ben remunerate ovviamente. A quel punto, i prestanome venivano accompagnati agli sportelli di società finanziarie o presso le filiali della banca Unicredit, dove oltre alla perizia falsa venivano fatte valere importanti credenziali di solvibilità, a partire dall’interessata presentazione offerta da alcuni imprenditori coinvolti a pieno titolo nel sistema fraudolento. Il finanziamento per l’acquisto quindi veniva concesso per un importo ben più rilevante di quanto poi sarebbe stato pagato in realtà l’immobile individuato. A titolo di esempio, si pensi ad un immobile, il cui valore era di circa 30.000 euro, così come risultante dal rogito, per cui si arrivava ad avere anche un mutuo finanziato per oltre 200.000 euro.

Il vantaggio della complessa operazione per le cosche è del tutto evidente: denaro contante e in quantità rilevante, proveniente da una fonte del tutto pulita, pronto ad essere investito in altre operazioni di riciclaggio. La truffa si perfezionava definitivamente, quando, successivamente i prestanome, che risultavano essere dipendenti di aziende inserite nel circuito della truffa, venivano licenziati e per far fronte al mutuo contratto veniva chiamata a subentrare l’assicurazione. Il meccanismo funzionava soprattutto perché ad essere coinvolti erano professionisti che mai si sarebbe pensato potessero essere collegati alle cosche.

Due Srl direttamente collegata alla banda guidata da Pangallo sono state sottoposte a sequestro preventivo, unitamente ad alcuni immobili acquistati nel corso della truffa in provincia di Lecco.

“È un fenomeno delittuoso nuovo” – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – che sarebbe frutto di una “più raffinata visione criminale e della necessità delle storiche famiglie mafiose” di far cassa in tempi rapidi e “con modalità più tecniche e meno cruente”.

Una vera e propria associazione criminale composta da “colletti bianchi” direttamente al servizio di una cosca di alto lignaggio, quale è quella riconducibile ai Barbaro e ai Papalia, tramite Pangallo.

Tra questi segnaliamo un imprenditore edile, Piergiuseppe Bari, 39 anni di Milano; un commercialista, Giovanni Tonarelli, 43 anni di nazionalità svizzera. Erano loro che preparavano le false credenziali per i prestanome a cui dovevano essere intestati i mutui. Altri elementi cardine dell’organizzazione erano Matteo Comisso, 26 anni di Casorate Primo (PV), considerato il braccio destro di Pangallo; Roberto Maroni, 39 anni di Lecco, definito dal Gip Brusa il “regista burocratico” delle operazioni fraudolente e, infine il cassiere della banda, Enzo Trevisan, 45enne di Milano. Tutti costoro sono finiti in carcere insieme a Salvatore Gianninò, 48 anni di Ramacca (CT) e Tiziano Monti, 45enne di Milano.

Le truffe si avvalevano necessariamente delle perizie gonfiate del 29enne professionista lecchese Andrea Melesi. Con lui agli arresti domiciliari sono finite altre sei persone: Emanuele Mancia, 35 anni di Saronno (Varese), Gennaro Speria, 27enne di Napoli, Amedeo Lasco, 36 anni, Paolo Fucarino (25),  Gianluca Petazzi (53) e Ettore Andreoni (46), questi ultimi quattro tutti di Milano.

L’inchiesta di per sé importante, in quanto rivelatrice della capacità inquinante delle mafie ha messo in luce anche alcune relazioni pericolose tra Pangallo ed esponenti del mondo politico in una realtà già finita alla ribalta delle cronache, non solo giudiziarie, come la “Platì del Nord”: stiamo parlando di Buccinasco, importante centro dell’hinterland milanese.

Infatti, risulterebbero agli inquirenti “stretti rapporti di conoscenza e frequentazione”tra il Pangallo stesso e il capogruppo consiliare del Pdl L.I., rapporti su cui sarebbero in corso degli accertamenti mirati, vista l’estrema delicatezza della questione che viene a intrecciarsi con le ultime settimane di campagna elettorale.

Nel corso della conferenza stampa Francesco Messina, capo della Mobile, ha dichiarato che sono indagini condotte “nell’interesse degli indagati e dell’intera collettività, perché sappiamo che il primo obiettivo della ‘ndrangheta è proprio l’infiltrazione del tessuto politico amministrativo”.

Dal canto suo L.I. ha rilasciato questo suo commento alle indiscrezioni emerse ieri:“Innanzitutto esprimo soddisfazione nel leggere quanto riportato durante la conferenza stampa tenutasi questa mattinapresso la Questura di Milano in cui gli inquirenti hanno specificato che: “…il politico, conoscente del capo del sodalizio non è tuttavia risultato coinvolto nell’organizzazione”. Si tratta dell’ennesima dimostrazione dell’assoluta estraneità del sottoscritto rispetto alle operazioni condotte dalle autorità inquirenti in relazione ai fatti oggetto di indagine. Ho già incontrato il Sindaco ed i colleghi della maggioranza i quali mi hanno espresso la loro totale fiducia”.

Un commento a dir poco sibillino, in quanto sembrerebbe essere una dichiarazione utile più a fugare i dubbi sul presunto coinvolgimento nell’associazione sgominata dalla Mobile che piuttosto a smentire i rapporti di conoscenza con il Pangallo sui quali si starebbe indagando proprio in queste ultime ore.

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Arnaldo Capezzuto

Sono solo un cronista. Pongo domande per capire. Se non mi rispondono, ripeto la stessa domanda. Racconto le cose che vedo. Rifletto sui fatti e li collego. La mia è la generazione del 1970. Vivo e lavoro a Napoli. Non mi sento a fortapàsc ma a volte ne vivo la sensazione. Sostengo il progetto di rete di Libera Informazione perché credo nelle parole di Paolo Borsellino :"Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene"

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