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Se il re è nero

Di Norma Ferrara il . Emilia-Romagna, Internazionale

Mafie, banche e riciclaggio. Paradisi fiscali nati su tanti, ma tanti soldi lasciano da decenni molti interrogativi aperti. A sollevarli la puntata di Report “Il re è nero” lo scorso 10 maggio. “Le tasse si evadono perchè sono troppo alte o sono troppo alte perchè si evadono?” con questo interrogativo la conduttrice di Report Milena Gabanelli – introduce in studio l’inchiesta di Paolo Mondani che questa settimana è andata a frugare all’estero pur restando dentro i confini della penisola, raccontando che fine fanno le imprese italiane, le banche e i soldi “neri” del mercato mafioso quando a due passi da casa nostra le regole che limitanto l’ingresso e la circolazione di capitali non identificati, semplicemente cessano di valere. In Italia la legge sul riciclaggio non viene applicata come dovrebbe, è lettera morta da anni, ma c’è. In Europa anche. In mezzo, stretti fra la legalità interna dei propri ordinamenti giuridici e l’inadeguatezza internazionale delle leggi sulla trasparenza bancaria, troviamo paradisi fiscali come quello messo in piedi dalla Repubblica di San Marino. L’inchiesta di Report parte da una notizia di cronaca piuttosto silenziata dagli altri media italiani. Il 3 maggio scorso nella tranquilla costiera romagnola, su ordine della procura di Forli, scattano le manette per 5 persone e ben 35 vengono indagate, tutte fanno parte del gruppo Delta e della Repubblica di San Marino. I reati ipotizzati sono associazione a delinquere finalizzata all’attività bancaria e finanziaria – abusiva – in Italia. La banca coinvolta nell’indagine “Delta” è la più antica della Repubblica di San Marino quella – in sostanza – che in questi anni ha deciso e guidato il mercato finanziario san marinese. E’ un crack giudiziario ed economico di un sistema e di uno Stato. In Italia la notizia è lasciata a poche righe di agenzia che parlano di riciclaggio, Report ci spiega invece le conseguenze sull’economia italiana e legale di questo “paradiso nero” a due passi da casa nostra. L’elenco degli arrestati e indagati è di per se il segnale di quanto in alto abbia colpito l’inchiesta della procura di Forlì, all’inteno infatti ci sono i nomi di Gilbelto Ghiotti, presiente della Cassa di Risparmio di San Marino, Paola Stanzani, amministratrice delegata di Delta, Luca Simoni, direttore generale della Cassa di Risparmio, Gianluca Ghini, direttore generale di Carfin SA (la finanziaria della Cassa di Risparmio) e Mario Fantini amministratore delegato della Cassa di Risparmio e presidente di Delta. La Delta non è italiana ma è a maggioranza sammarinese in questa inchiesta i pm avrebbero scoperto che il movimento di soldi originati in Italia, nazione in cui operava il gruppo Delta (che ha sede a Bologna) vanno a San Marino, poi tramite assegni o contanti tornano in Italia sul conto degli stessi soggetti. Detassati e lavati. Nel gennaio 2008 un’altra operazione della magistratura aveva fatto arrestare presidenti e amministratori i due banche, la Asset di San Marino e la Banca di Credito e Risparmio di Romagna. Anche questa volta banche italiane venivano usate per fare, abusivamente, raccolta di denaro fra imprenditori italiani e risparmiatori romagnoli. Una repubblica di 61 km quadrati per 31 mila abitanti, 12 banche e 59 finanziarie. Questa è San Marino, Stato stretto fra le province di Rimini e Pesaro, isola felice per imprenditori italiani che vogliono fare profitti senza la pressione fiscale vigente in Italia. Paradiso illegale di capitali di indubbia provenienza. Nella Repubblica di San Marino fra il 1999 e il 2007 il prodotto interno lordo ha avuto una impennata da mercato asiatico – commenta il giornalista di Report. Ci sono 6 mila imprese, in maggiornaza italiane, e le banche sanmarinesi nell’utlimo anno hanno raccolto sino a 14 miliardi di euro. La magistratura italiana indaga. Le mafie da tempo hanno individuato – come testi- I media ne parlano  moniano alcune intercettazioni telefoniche fra boss – questo paradiso fiscale come “lavatrice” silenziosa e quasi franca nella quale ripulire il denaro sporco proveniente dalle attività criminali sul territorio italiano. Mentre alcuni anni fa gli stessi vertici del sistema bancario sammarinese non volevano sentir parlare del problema, nell’inchiesta di Report, davanti alle telecamere, arrivano le prime ammissioni. “E’ verosimile – dichiara il segretario agli esteri di San Marino, Antonella Mularoni – che denari che non dovevano passare da questo Paese perchè sono denari che provengono dalla malavita organizzata, abbiano invece trovato questo paese come transito, anche per fare investimenti di vario tipo”. Investimenti di “vario tipo” favoriti dalla mancanza di regole che limitino come accade in Italia il segreto bancario, che consentano la trasparenza delle aziende negli appalti pubblici come avviene in Italia con il certificato antimafia, e che permettano in sostanza di rintracciare la provenienza e la destinazione del denaro. Come scatole cinesi invece imprese italiane da anni contengono al loro interno maggioranze sammarinesi – sono delle “controllate” del sistema fiscale di San Marino. Questo crea un vantaggio per la Repubblica da un lato (in termini di quantità di ingresso dei capitali nella nazione) e per l’imprenditore italiano dall’altro perchè può distribuire sul territorio prodotti o servizi ad un prezzo concorrenziale che le altre imprese italiane, regolari e sottoposte al sistema fiscale vigente in Italia, non posso fronteggiare. Un danno all’economia e alla libera concorrenza ma anche un “cavallo di Troia” per l’ingresso di capitali neri nel mercato legale dell’economia. Un caso su tutti lo racconta Report per spiegare il sistema sammarinese ed è quello della Karnak, società che si occupa di materiale di cancelleria per uffici. La Karnak batte tutti sul mercato italiano ed è – come si evnince dall’inchiesta di Report – in sostanza una azienda di San Marino operante in Italia. Dunque regime fiscale san marinese e prezzi stracciati sul mercato italiano. San Marino dunque paradiso fiscale, ma non solo. Fra la Repubblica di San Marino e quella italiana non esiste una dogana. Qualche ora di appostamento della Guardia di Finanza ai confini indefiniti delle due repubbliche traccia una radiografia amara del “passaggio” di auto, denaro e quant’altro senza che alcun controllo regolare e sistematico venga effettuato. Considerato il paradiso che dall’alra parte si affaccia anche per la criminalità organizzata e straniera quel confine mancato potrebbe diventare la porta d’ingresso delle mafie, dei loro capitali, del contrabbando e del commercio illegale. L’inchiesta passa la parola più volte ai resposabili istituzionali e finanziari della Repubblica di San Marino ma le risposte restano vaghe e su posizioni difesensive. Come dire – questo Stato è sovrano decide della politica come dell’economia e offre un pacchetto fiscale proporzionato alle esigenze del sistema tutto. A San Marino si punta a diventare come il Liechtenstein, si diceva, dunque per le altre vicende non c’è spazio. Qui il credo si chiama società anonime e segreto bancario ma un organismo del Consiglio d’Europa ha decretato San Marino “paese a rischio”. Un rischio che a giudicare dalle numerose inchieste su riciclaggio e mafie è già realtà. San Marino regna sovrana su tutto. Sceglie e decide delle sue politiche finanziarie, in deroga alle leggi internazionali. E la mafia e i suoi sostenitori questo lo sanno. In attesa che l’Italia e l’Europa se ne occupino, Report scrive ancora una volta una pagina di servizio pubblico nel silenzio generale dei media nazionali che nella stessa settimana si occupano del divorzio del premier e delle feste di una diciottenne in buoni rapporti con il presidente del Consiglio. Verrebbe da dire: è’l’agenda dei media, bellezza! L’ingresso di Pietro Grasso in magistratura risale al 1969. Quarant’an
ni, da quando 24enne dopo l’uditorato a Palermo venne nominato pretore di Barrafranca (Enna) fino ai giorni nostri e alla posizione ancora ricoperta di Procuratore nazionale antimafia. Difficile far rivivere l’intensità di queste quattro decadi, soprattutto se il comune denominatore di tutti questi anni è stato quello della mafia. Tuttavia Grasso tenta di affidare la sua vita professionale, i suoi ricordi di uomo di legge e di Stato a un libro che, pur gravoso di quasi trecento pagine, risulta scorrevole e facile da approcciare. La scelta fondamentale è quella di affidarsi a una forma particolarmente generosa come quella dell’intervista autobiografica, delegando le domande e la custodia di un fil rouge a Alberto La Volpe , già direttore del Tg2 e conduttore del programma Lezioni di Mafia, ideato con Giovanni Falcone poco prima del suo assassinio. Proprio il giudice palermitano ucciso nella strage di Capaci è uno dei fulcri che il giovane Grasso incontra alle origini della propria scelta di occuparsi di criminalità organizzata: il maxi processo a Cosa nostra degli anni Ottanta fu per l’attuale procuratore antimafia un momento decisivo dal punto di vista personale e professionale. Ne esce un ritratto a tutto forzare la simbiosi tra mafia, economia e potere. E rilancia ancora una volta una cultura della legalità che non sia solo semplice osservanza di leggi e regole ma «un sistema di principi, di idee, di comportamenti che deve tendere alla realizzazione della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, democrazia, verità e giustizia come metodo di convivenza civile». Modi di non morire di mafia che oggi esistono nel nostro paese, nell’associazionismo, nella responsabilità civile di chi da anni si mette in gioco; Grasso li sottolinea e rilancia con loro un grande stimolo a tutta la cittadinanza italiana. Per non sottovalutare, per non far passare sotto silenzio. Per non morire

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