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7. La morsa di racket e usura sull’Abruzzo

Di Alessio Magro il . Abruzzo

I
dati parlano chiaro: pagano il pizzo 2mila commercianti, il 10% del
totale. Una quota molto minore rispetto al Sud. Ma l’Abruzzo ha una
percentuale pari a quella del Lazio, e le due regioni dell’Italia
Centrale seguono alle sole realtà a occupazione mafiosa. Nel
triangolo Pescara, Chieti, Vasto il racket è sistematico, anche se a
macchia di leopardo e in alcune attività specifiche (edilizia,
ristorazione, locali). Altro nodo nevralgico quello dell’usura.
Pescara è la prima città usurata d’Italia in base a tutti gli
indicatori statistici, mentre peggiora notevolmente la situazione di
L’Aquila. E si tratta di usura mafiosa. Le stime parlano di 48oo
imprenditori caduti nelle mani degli strozzini, ben il 22% degli
attivi, livelli simili a quelli delle regioni meridionali. Sono le
famiglie rom a prestare i soldi a strozzo. Una pratica antica nella
regione, che oggi i clan “zingari” esportano anche in altre
regioni dell’Italia centrale. E anche le reti usuraie della
Capitale (famiglie Rom, banda della Magliana, organizzazioni
collegate alle mafie meridionali) sono attive in Abruzzo.

La
morsa del racket

Tra il 2007 e il 2008, sono state le operazioni
Histonium e
Histonium 2 a
dare la misura del fenomeno. Incendi, attentati dinamitardi, minacce,
infiltrazioni nell’economia del Vastese, ma non solo. Ad agire una
‘ndrina guidata dal calabrese Michele Pasqualone (da anni residente
in Abruzzo, dove è stato destinato al soggiorno obbligato), attiva
anche in Lombardia. Pasqualone comandava dal carcere, grazie a
complicità nell’istituto penitenziario. Secondo gli inquirenti, il
denaro ricavato veniva reinvestito nell’usura, ma anche
nell’edilizia, con il tentativo di controllo del mercato del
calcestruzzo. L’inchiesta è rivelatrice del meccanismo di
colonizzazione mafiosa: piccoli nuclei criminali mettono le tende in
un nuovo territorio (con le emigrazioni, ma anche a causa della
pratica dei soggiorni obbligati), col tempo si strutturano, si
estendono, si rendono autonomi, fino a sviluppare legami con la
criminalità locale e con altre organizzazioni simili (facevano parte
del gruppo Pasqualone anche vastesi, campani e pugliesi). Un’azione
criminale che inevitabilmente infiltra il mondo produttivo e le
amministrazioni del territorio (nell’inchiesta sono stati coinvolti
anche imprenditori della zona).

La
capitale dello strozzo

Secondo i dati del Cnel, Pescara è la più colpita d’Italia, la
provincia più a rischio dopo quelle di Messina e Siracusa. Mentre
gli indicatori statitici rilevano una debolezza economica pericolosa
a Teramo, ma soprattutto nella provincia di L’Aquila. La
Confesercenti rileva la pratica dell’usura in trasferta: nei
piccoli centri, per evitare pettegolezzi, si preferisce cercare un
po’ d’ossigeno chiedendo prestiti a Roma. E conferma
l’esposizione di Pescara, L’Aquila, ma anche Chieti, in base agli
indicatori statistico-penali. Una pratica diffusissima, a volte anche
da cittadini al di sopra di ogni sospetto. In un’indagine è stato
anche un carabiniere di Lanciano, accusato di usura ed estorsione ai
danni di alcuni imprenditori della Val di Sangro (interessi
fino al 20% mensile).

La
cartina al tornasole.
Estorsioni e strozzo sono le attività primordiali, addirittura
precedono l’esistenza stessa delle mafie in quanto tali. Ma il
pizzo e l’usura sono i sintomi dell’esposizione di una società
al condizionamento mafioso. Il controllo del territorio e
l’assoggettamento dell’economia locale sono le pratiche che le
cosche mafiose portano avanti per affermarsi prima ancora che per
finanziarsi. E l’usura è un metodo da “entrismo” oltre che un
ottimo reinvestimento del denaro accumulato. Prestando i soldi alle
aziende in difficoltà, le mafie hanno spesso l’opportunità di
rilevarle. E di inondare silenziosamente l’economia di capitali
sporchi. Ecco che i dati ci restituiscono l’immagine di una regione
nella quale le mafie sono, nella più ottimistica delle analisi, dei
pericoli che si sono concretizzati da anni.

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