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4.Il petrolio: un fattore di arretratezza

Di Giuseppe Bascietto il . Senza categoria

Dopo la morte
di Mattei, a Gela i lavori continuano a pieno ritmo. La pacchia finisce
nel 1965, anno dell’inaugurazione. In pochi mesi vengono licenziati
650 operai meccanici e mille edili. L’Anic ha bisogno di manodopera
specializzata e importa operai da fuori. Gli ex braccianti diventati
edili restano senza lavoro e ricominciano a emigrare. La politica dei
Poli di sviluppo che aveva portato investimenti a pioggia rallenta.
Ci pensa l’Eni a frenare entusiasmi e pretese. Sul Giornale di Sicilia
del 21 novembre 1968, un funzionario dichiara: «Il complesso petrolchimico
Anic produce beni finiti per cui non esistono grandi possibilità di
incentivare altre iniziative collaterali». Lo sviluppo si ferma e tutto
resta com’è.

Ai nuovi venuti
Gela appare come una città spezzata. Da un lato c’è il petrolchimico
che, per quanto cadente, tiene i piedi nella modernità, produce utili
e agisce secondo logiche di profitto. Dall’altro c’è tutto il resto.
C’è una città abnorme che non si capisce bene come sopravviva se
non «intercettando» finanziamenti dello Stato, c’è l’economia
dell’indotto nelle quali, molto spesso, non esistono tutele sindacali
e latita ogni ideologia imprenditoriale. Di questo rischio, Mattei era
conscio. Parlando, il 23 gennaio 1959, al II Convegno Petrolio in Sicilia
Enrico Mattei avvertì: «Le produzioni attuali e quelle assai maggiori
sicuramente prevedibili a breve termine confermano dunque l’esistenza
in Sicilia di quella disponibilità di petrolio che viene comunemente
considerata, di per sé, fattore di industrializzazione… Lo sviluppo
industriale non deriva automaticamente dalla disponibilità di petrolio».
Il presidente dell’Eni precorre una teoria economica in voga negli
ultimi anni: la presenza di petrolio è un fattore che frena lo sviluppo
invece che favorirlo. L’umanità tende ad adagiarsi sulle proprie
ricchezze e l’iniziativa ne risente. In questo senso, Gela non fa
eccezione.

L’economia
ufficiale della zona si regge, ancora oggi interamente, sull’estrazione
e sulla raffinazione. Il gigante solitario parla alla città attraverso
mille braccia, molte delle quali invisibili. È attraverso queste braccia
che la mafia allunga le mani sulla torta. Non parlarne, significherebbe
ignorare l’altro grande datore di lavoro della zona.

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