NEWS

Ilaria, Miran e la Calabria avvelenata
Quindici anni senza verità e giustizia

Di Anna Foti il . Calabria, Internazionale

Cominciano nel marzo del 1994, mentre a Mogadiscio la giornalista del tg 3 Ilaria Alpi e il collega operatore Miran Hrovatin venivano crivellati da colpi di arma da fuoco. Cominciano allora le denunce di Legambiente circa la presenza di rifiuti tossici e scorie radioattive nell’Aspromonte, teatro inesplorabile dei sequestri di persona della ‘ndrangheta. Arrivano dal mare forse anche da quella balena che mostra la pancia rossa alla costa calabrese, come scrive Carlo Lucarelli nella sua recente pubblicazione “Navi a perdere”.

Si tratta della ex Jolly Rosso arenatasi a largo di Amantea e Campora San Giovanni, nel cosentino, nel dicembre del 1990. Partita dal porto di La Spezia e diretta a Malta, dopo una pausa di due anni che forse agli occhi di curiosi ed insidiosi avrebbe dovuto riscattarla dalla reputazione di nave dei veleni, l’imbarcazione si è invece arenata sulle spiagge calabresi. Forse un affondamento mancato. Forse una falla che ha fatto imbarcare acqua. Forse. Intanto i conti dei container trasportati non tornano. Sicuramente una storia molto poco chiara, nonostante la dettagliata relazione fornita dalla società Ignazio Messina & C.s.p.a.. alla procura. Perché?

Sono trascorsi 15 anni da quel marzo 1994. Nessun mandante per Ilaria e Miran, nessuna sentenza per traffici che potrebbero avere avvelenato, mari, luoghi e persone, che potrebbero aver arricchito ( e non poco!!!) faccendieri e malavitosi con il coinvolgimento di servizi segreti e politici. Tutto ciò nonostante il lavoro della commissione parlamentare relativa al “Ciclo dei rifiuti e alle attività connesse”. Tutto ciò  nonostante il lavoro della commissione parlamentare di inchiesta sull’omicidio Alpi – Hrovatin.
Perché?
 
Il mistero ancora regna sovrano su quell’agguato mortale che ha spezzato la vita di Ilaria e Miran. Questo mistero potrebbe contenere nelle sue inquietanti pieghe anche l’enigma dell’ennesima nave dal carico sospetto in viaggio nei mari del Sud. Intanto cresce dalle nostre parti anche la percentuale di persone affette da tumori presumibilmente causati da fattori inquinanti. Perché?

Mancano troppe risposate ed è per questo che è necessario tornare alle indagini e ai fatti.
La prima indagine che lega traffici illeciti, affondamento di navi e scorie radioattive parte a Reggio Calabria. Essa è la prima di tre parentesi, con quella di Lamezia Terme e Paola, e si incrocia, tra le altre, con quella della procura di La Spezia, da cui partì la Jolly Rosso nel dicembre del 1990, con quella di Savona, con quella di Matera. Il procuratore Nicola Maria Pace, della città lucana, aveva colloquiato nel dicembre del 1995 con la persona di spicco del pool ecomafie reggino e stretto collaboratore del procuratore Francesco Neri, il capitano Natale De Grazia. Poi quell’ultimo viaggio del capitano, quello verso La Spezia per interrogare l’equipaggio della ex Jolly Rosso; l’ultimo perché prima da arrivare sarebbe rimasto misteriosamente colpito da un fatale malore improvviso. Perché?

Un’archiviazione a Reggio Calabria e un rinvio a giudizio a Paola. I capi di imputazione, ben lontani dai reati di smaltimento illegale di scorie radioattive con danni a luoghi e persone. Il procuratore Francesco Greco di Paola non è soddisfatto e chiede la riapertura delle indagini. Il rinvio a giudizio per la Ignazio Messina & C. s.p.a,.proprietaria della jolly rosso e per la Mo.Smo.De.ditta crotonese chiamata con gran fretta a demolire il relitto, si fonda infatti sulla contestazione di occupazione abusiva di suolo demaniale e di smaltimento illegale di rifiuti. Ma ciò solo dopo che la prima ditta interpellata, la Smit Tak con sede a Rotterdam – una grande società per una imbarcazione abbastanza piccola – lascia il relitto a logorarsi sulla spiaggia dopo avere incassato quasi un miliardo di vecchie lire. Avrebbe dovuto recuperarla e rimetterla in mare. Invece l’abbandona ma riscuote. Perché?

La prima ad indagare è la procura di Reggio Calabria quando Francesco Neri, con la preziosa collaborazione del maresciallo dei Carabinieri Nicolò Moschitta e del capitano Natale De Grazia, raccoglie informazioni e si rendono evidenti le prime fila di una matassa ancora oggi aggrovigliata. Queste prime fila attraversano un significativo numero di siti sospetti rilevati dalla Guardia di Finanza in Aspromonte e portano in Liguria dove alcune discariche abusive sarebbero gestite con l’ausilio delle ‘ndrine reggine. E’ lo stesso colonnello delle Fiamme Gialle, Martini, a segnare un punto luce quando alla frontiera svizzera di Chiasso salta fuori un nome che per chi conosce questo oscure faccende è molto familiare: quello di Giorgio Comerio, colui che cercò di acquistare per conto della sua società marittima Navimar la stessa imbarcazione Jolly Rosso dalla Ignazio Messina & C. s.p.a. nel 1988. Un affare di un miliardo e cinquanta milioni di lire poi naufragato, come le “navi a perdere”. Perché?

La perquisizione nella sua casa di Pavia produce ritrovamenti che allargano spaventosamente lo scenario. Il certificato di morte di Ilaria Alpi, poi scomparso a seguito della manomissione del fascicolo denunciata dal procuratore Neri, e una serie di cartelline contenenti dossier relativi a paesi africani che avevano venduto siti di stoccaggio di scorie radioattivi in Congo, Sierra Leone e, guarda caso, anche in Somalia. Inoltre nella sua agenda poi alla data del 21 settembre 1987 un appunto – “Lost the ship” – è inequivocabile per chi sa che quel giorno di mare calmo affondava al largo di Capo, Spartivento in provincia di Reggio Calabria, la motonave maltese Rigel, una delle tante, trenta, quaranta, forse cinquanta affondate nel Mediterraneo negli ultimi decenni. Diverse affondate anche in Calabria. La motonave Aso al largo di Locri il 6 maggio 1979. La Mikigan, il 31 ottobre 1986 a largo di Capo Vaticano. Poi la Rigel nel 1987 e la Rosso nel 1990. Cosa trasportavano? Dove è il loro carico?

Dunque a Giorgio Comerio sono legati gli interramenti di fusti banchi radioattivi e a presunti traffici illeciti mascherati da cooperazione internazionale che denunciavano Ilaria e Miran in Somalia. Dunque a Giorgio Comerio sarebbero anche legati gli affondamenti di imbarcazioni, troppi e sospetti, anche nelle nostre acque. Come pedine di un progetto criminale che dalla Liguria non avrebbe mai avuto modo di approdare, per ragioni ovvie. Le navi devono affondare, l’equipaggio essere tratto in salvo e poi volatilizzarsi con il compenso per avere portato a termine la missione. Il carico di queste navi, sempre sospetto, deve essere inghiottito dalle acque con esse o essere interrato in Aspromonte con la complicità delle ‘ndrine e il loro interesse a trafficare armi. Infatti anche di armi si occupa Comerio, negli anni ‘Ottanta a Malta produce telemine, missili subacquei a guida satellitare e commercia con Iran, Libia, Italia, Argentina. Ma si occupa anche di scorie radioattive, quelle che in cui si trasformano i materiali utilizzati per produrre energia attraverso la fissione nucleare.

Nella sua inchiesta Lucarelli, cita il plutonio per esemplificare la portata micidiale anche solo di questo componente la cui carica radioattiva si riduce in parte dopo ventiquattromila anni e ci impiega tre milioni e mezzo per estinguersi completamente. E poi cita anche il redditizio metodo di smaltimento delle scorie attraverso dei siluri, adesso bandito dalla comunità Europea. Il DODOS (Deep Ocean Data Operating), un sistema in cui in passato hanno investito diversi paesi europei, Stati Uniti, Australia, Canada e Giappone. Quarantaquattro contenitori con sei chili di scorie vengono inseriti in un cilindro di venticinque metri che così confezionato pesa duecentottanta tonnellate. Insomma “carote nucleari” piantate nei fondali marini. Dove? Una interessante mappatura tra le carte ritrovate nell’abitazione di Comerio a Pavia. Lo stesso Comerio aveva, infatti, rilevato parte di questo sistema, prima che fosse bandito, attraverso la società ODM (Oceanic Disposal Management). Ma Giorgio Comerio ha anche progettato quella speciale boa che inviando un segnale ad un satellite disegna una mappatura dei siti di stoccaggio.  Nonostante tutti questi elementi, Giorgio Comerio non ha mai ritenuto di dovere spiegare nulla, ritenendosi perseguitato da GreenPeace e da chi osteggia l’energia nucleare. Perché?

La lista dei perchè è interminabile e altri ce ne sarebbero. Rispondere è complicato ma è necessario.
E anche se nessuno risponderà, non si può smettere di chiedere. C’è chi non può fare a meno di speculare sulla vita altrui e sull’ambiente, chi non può fare a meno di non avere scrupoli e di avere fede cieca nel profitto. Poi c’e anche chi non può fare a meno di contrastare tutto questo. Proseguire nella ricerca è un modo per onorare la memoria di chi ha speso la vita per non essere riuscita a fare a meno di chiedersi perché.
Ad Ilaria e Miran. Al capitano Natale De Grazia e a quanti si sono ostinati a cercare la verità.

da Strill.it

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link