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Cosa Nostra cambia assetti, a Bagheria si paga il pizzo?

Di Nino Fricano il . Dai territori, Sicilia

Nasce la prima associazione antiracket della città
delle ville. È una notizia che fa ben sperare, anche se il contesto
resta piuttosto ambiguo. Viene spontaneo chiederselo: ma a Bagheria il
pizzo si paga? La domanda è da un milione di dollari. Certamente lo si pagava, almeno fino al gennaio 2005 quando viene ritrovato il celeberrimo libro mastro
nell’appartamento di Giuseppe Di Fiore, condannato in appello a 8 anni
per associazione mafiosa. I nomi e le cifre non lasciano dubbi. La
città delle ville, che in seguito sarebbe stata definita da Nino
Giuffrè “la roccaforte di Bernardo Provenzano”, era soggiogata dal
racket. Durante gli interrogatori, c’è chi ammette di aver pagato il
pizzo, ma molti sono i commercianti e gli imprenditori che negano
davanti all’evidenza. Per questi, l’accusa di favoreggiamento scatta
inesorabile. E adesso, invece? Dopo il polverone alzato tre anni fa, è
calato il silenzio. Ma strani eventi, incendi sospetti, presunte
intimidazioni, fanno pensare ad una rinascita del fenomeno delle
estorsioni.

I killer mancati del boss.
Non
finisce qui. Non sono soltanto un paio di saracinesche annerite e
qualche macchina bruciata a far pensare al peggio. Nel luglio scorso,
gli agenti della polizia arrestano Emanuele Cecala, di Caccamo, Gaetano
Fiorista, di Palermo, Andrea Fortunato Carbone e Michele Modica, di
Casteldaccia. I quattro avevano progettato di uccidere il boss Pietro
Lo Iacono, fedelissimo di Provenzano, uscito dal carcere nel 2007 a
causa di un cavillo tecnico e da qualche settimana tornato agli arresti
dopo la condanna in primo grado. Volevano ammazzarlo in piena
mattinata, all’ingresso di un lido balneare dove il boss di Bagheria
era solito recarsi. Dalle intercettazioni, soprattutto dalle
conversazioni tra Gaetano Modica e Andrea Fortunato Carbone, emerge che
non si parlava soltanto dell’omicidio da compiere, ma anche di
estorsioni a danno di imprenditori e commercianti locali. Numerosi sono
inoltre i riferimenti ad imprecisate “altre persone” e “ordinazioni”
dall’alto. Tutto fa pensare che gli arrestati (in seguito il Gip non
convaliderà il fermo per Fiorista) facciano parte di un “disegno”
criminoso più grande.

Al posto di Onofrio.
Il 30 giugno 2008, Carbone
parla a Modica di un imprenditore di Bagheria che è già stato indagato
per favoreggiamento e che quindi ha “gli sbirri addosso”. Per questo,
l’uomo non vuole pagare il pizzo. Dice Carbone: – Gli ho detto
“devi uscire i soldi”!! Lui mi ha detto “i soldi non te ne posso dare…
sono controllato! In qualsiasi movimento che faccio!”… però dice “posso
farvi la cortesia di fare lavorare qualcuno…questo lo posso fare…già ne
ho due (dipendenti ndr) che allora me lo ha detto Onofrio”.
Carbone dice allora: “Ma Onofrio non c’è più”. E l’imprenditore: “A me
non è sembrato giusto licenziarli, perché quando do la parola… la
mantengo”
. Onofrio sarebbe, secondo i pm che hanno condotto le
indagini, Onofrio Morreale, genero del boss Nicolò Eucaliptus, entrambi
in carcere per associazione mafiosa. Sentenze e indagini descrivono
Morreale come colui che, tra le altre cose, si occupava del racket a
Bagheria e dintorni. Il mafioso che aveva tenuto il libro mastro
prima che venisse affidato a Di Fiore. Così Carbone e Modica, e forse
non solo loro, avrebbero cominciato ad occupare lo “spazio di azione”
che era stato di Onofrio. E forse altre persone, in questi mesi, ci stanno provando. Oppure ci sono già riuscite.

”La mafia c’è, ma è ora di reagire”.
“Dopo i blitz Grande Mandamento
del 2005 – spiega Pippo Cipriani, neo presidente dell´associazione
antiracket – Cosa Nostra ha subito un colpo fortissimo. Sono stati
azzerati i vertici, i capimafia della zona sono stati quasi tutti
arrestati. E gli affari mafiosi, tra i quali ovviamente anche il
racket, hanno subito uno shock fortissimo”. “in questa fase di estrema
debolezza della mafia, c’è stata allora una reazione della società
civile, o almeno un inizio di reazione – continua Cipriani – alcuni
commercianti hanno denunciato i propri estorsori, mentre il Comune di
Bagheria si costituiva parte civile nel processo”. “Poi però le cose
sono cambiate, ed è calato il silenzio. Tutto fa pensare ad una
riorganizzazione del tessuto mafioso a Bagheria e dintorni, con nuove
personalità che cercano di farsi strada, nuovi capi che cercano di
imporre il proprio predominio. E uno dei mezzi principali è appunto il
racket, non ci sono dubbi”. Cipriani non vede però tutto nero: “Questo
è un momento fondamentale per agire. Ci sono tanti commercianti che
vogliono liberarsi dall’odiosa tassa del racket, ma si sentono soli e
aspettano soltanto qualcuno che dia loro voce e protezione. Per questo
dobbiamo lavorare, e lavorare duramente, per permettere alla società
civile della zona di liberarsi dal giogo della mafia, a cui è rimasta
sottomessa per troppo tempo”.

da 90011.it

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