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Umbria e informazione: fare rete contro le mafie

Di Norma Ferrara il . Umbria

Una città stretta, fra dirette televisive e cronisti irreperibili, dichiarazioni di avvocati e Pm. Questa ieri Perugia, dove media nazionali e locali, si sono trovati dinnanzi alla Procura del capoluogo per seguire la seconda udienza del processo per l’omicidio di Meredith Kercher. Dall’altro lato della città, invece, l’altra informazione, quella che interroga la società responsabile sul Paese reale parlando di mafie e informazione e che in occasione della prima tappa umbra della Carovana antimafie, si è data appuntamento alla Casa dell’Associazionismo, per incontrare cronisti, associazioni e società civile, nel 12° seminario nazionale di Libera Informazione.

 “L’ Umbria non è certo terra di mafie – dichiara Walter Cardinali  referente di Libera Umbria – ma non siamo esenti da questo. Gradualmente diventata supermarket della droga e terra di prostituzione, l’Umbria ha assistito ad un costante ingresso degli affari illeciti delle mafie sul territorio anche, ma non solo, a partire dalla ricostruzione post – sisma del’97; sono diventati “abituali” i sistemi che hanno alterato le regole del mercato degli appalti pubblici, come quella della tecnica del massimo ribasso”. “L’informazione in questo momento dunque  – commenta Cardinali – ha un ruolo decisivo, centrale, e questo seminario di Libera Informazione a Perugia è l’inizio di un percorso che ha l’obiettivo di  fare rete e dare spazio a queste notizie. Poi –  rivolgendosi ai giornalisti presenti in sala (e anche a quelli assenti…) Cardinali dedica questa tappa della Carovana proprio ai giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio di questa professione: undici uccisi dalle mafie, otto nella sola Sicilia.

“Ricominciamo da qui – dichiara Roberto Morrione – presidente di Libera Informazione, non a caso. Questa è una terra che, come molti altri territori del centro nord è da anni una delle zone di smistamento degli affari delle mafie, per un dato tristemente reale: il problema delle mafie tocca tutte le regioni italiane, è un problema nazionale. Come ricorda il sostituto procuratore di Palermo, Antonio Ingroia, ormai quasi il 30% dell’economia legale è inquinata dagli affari illeciti delle criminalità organizzata. E anche in Umbria questo accade. Va dritto al cuore dei problemi che alimentano le mafie e impedisco una libera informazione – il presidente di Libera informazione che commenta  – “dal dibatto sulla sicurezza il problema delle mafie è rimasto fuori; centrali dovrebbero inoltre tornare ad essere:  inchieste che denunciano collegamenti fra pezzi della politica, dell’impenditoria, della finanza e la criminalità organizzata, lo stato in cui versano  ben cinque regioni ormai  governate dalle mafie: la presenza di piccoli e grandi conflitti di interesse nell’editoria locale  e un diverso ruolo che le venti sedi regionali Rai dovrebbero svolgere proprio a partire da questi temi”.

Roberto Saviano, Lirio Abbate, Pino Maniaci e Rosaria Capacchione, cronisti minacciati, intimiditi, che vivono oggi senza scorta – ricordati da Morrione – che aggiunge: “serve fare rete – per non lasciare soli loro e tutti gli altri cronisti che nelle redazioni locali e nazionali si spendono ogni giorno per informare, per fornire il contesto delle notizie e andare dritti ai fatti, senza sconti. All’Umbria da oggi  – conclude Morrione –  è quindi rivolta la nostra attenzione, a partire da questo primo seminario, per stimolare anche qui, nei cronisti locali e nelle associazioni, questa consapevolezza, rispetto alle mafie e al ruolo centrale dell’informazione.

UN GIORNALISMO “COMPRESSO” RACCONTA DI MAFIE IN UMBRIA

E del giornalismo umbro parla, nel suo intervento, Alvaro Fiorucci, cronista in forza alla Rai regionale (vicedirettore Rai della sede umbra): “negli ultimi 15 anni – dichiara Fiorucci –  la situazione della criminalità organizzata in Umbria è nettamente cambiata.  Il recente arresto di un boss della Camorra che “casualmente” soggiornava nel ternano – continua Fiorucci –  è solo l’ultimo segnale di una serie di fatti che dal clan degli ex pentiti sino alle manovre della ‘ndrangheta in Umbria (operazione Naos) hanno sottolineato questi cambiamenti. Tutto questo è stato raccontato dal giornalismo locale che per sua natura è un giornalismo “compresso” stretto fra un precariato ormai  divenuto prassi contrattuale per i giovani colleghi (400 solo in Umbria) e il conseguente stato di condizionamento che questo comporta”. Alvaro Fiorucci accenna poi ad un altro aspetto, latente ma presente e che desta preoccupazione: “a fronte delle continue cronache dei colleghi che attraverso i propri media raccontano di mafie in Umbria, le dichiarazioni della magistratura continuano ad essere sempre le stesse, dagli uffici giudiziari dichiarano:  « moderato allarme, le infiltrazioni ci sono ma il tessuto sociale resiste e l’attenzione è alta».  Qualcosa dunque, anche qui nel cuore verde dell’Italia, non torna quando si parla di informazione e mafie. “Un giornalismo vero – conclude Fiorucci – è l’unica risposta possibile, perché un giornalismo nel pieno delle sue caratteristiche è già di per se un giornalismo antimafia ed è di questo che abbiamo bisogno oggi”.

Il dibattito si fa acceso e anche i cronisti locali come Luciano Gianfilippi del Messaggero confermano questo stato di preoccupazione, commentando: “le attuali cronache delle mafie in Umbria non sono che la punta di un iceberg che scoprirà dell’altro – tutto questo chiede un approccio di tipo culturale, storico e normativo. Dobbiamo chiedere che il giornalismo italiano smetta di esser un’anomalia e che valgano in Italia le stesse identiche regole vigenti nell’Unione Europea”. Il riferimento alla proposta di legge sulle intercettazioni è evidente ed attraversa gran parte del dibattito. Una necessità centrale e costante come lo sono anche altri due fattori: i tagli all’editoria e la scelta di fare rete anche all’interno del mondo dell’informazione.

Ne parlano i giornalisti “militanti” Salvatore di Leggio e Maurizio Mori, collaboratori dell’inserto umbro del Manifesto “Micropolis” (a rischio di chiusura) che denunciano le condizioni economiche in cui versano coloro che fanno un’ informazione libera e ricordano, quanto sul versante antimafia, diventi necessario “mettere in comune, scambiare informazioni, collaborare” superando la routine del lavoro individuale che spesso porta allo scoop ma che talvolta può anche involontarimente fare il gioco delle mafie.   

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