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A confronto sul rischio regime
“Tutti in piazza per cambiare la Rai”

Di redazione il . Istituzioni

Tre grintose giovani croniste e un veterano per lanciare la sfida al mondo del giornalismo. Per un’informazione libera, puntuale, coraggiosa, semplicemente per un’informazione che sia tale. In platea gli uomini e le donne di Libera, riuniti a Savignano sul Panaro per la festa annuale, sul palco Roberto Morrione con accanto Manuela Mareso, Antonella Mascali e Chiara Spagnolo. Non solo la presentazione del volume Giornalismi&Mafie, non solo il lancio del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, ma un dibattito profondo quello del 5 luglio, con proposte di lotta, spunti dal pubblico e poi i contributi preziosi di Giancarlo Caselli e Nando Dalla Chiesa, alla prima uscita sia pur in casa dopo l’elezione per acclamazione a presidente onorario di Libera.

È toccato a Morrione – presidente della Fondazione libera Informazione e del relativo Osservatorio – lanciare l’ennesimo allarme sulla deriva autoritaria del Paese. “Prove di regime” ha detto a chiare lettere, con un evidente riferimento al decreto sicurezza, al lodo Alfano e al ddl sulle intercettazioni. Poi una linea d’azione che è il frutto di anni di trincea in Rai, ma anche dell’ultimo anno vissuto sui territori ad occupazione mafiosa, in viaggio con Libera Informazione. È proprio nella rete dei mediattivisti che Morrione individua una delle risposte dal basso alle pesanti limitazioni alla libertà d’informazione, insieme ad una grande battaglia per il definitivo recupero della Rai, il più potente e per moltissimi italiani l’unico media frequentato regolarmente.

Dalle mafie al Nord, con la testimonianza sul campo di Antonella Mascali (cronista di giudiziaria e inviata di Radio Popolare), ai metodi del Sistema meridionale, vissuti sulla propria pelle da Chiara Spagnolo. Se la Mascali rende conto della potenza geometrica della ‘ndrangheta lombarda, la Spagnolo testimonia delle connivenze a tutti i livelli, della famigerata zona grigia che dalla Calabria passa alla Basilicata arrivando fino a Roma. Nel primo caso è l’indifferenza e l’incredulità della cittadinanza il primo nemico da sconfiggere, nel secondo il silenzio se non la complicità delle istituzioni di controllo. Sullo sfondo gli affari, il pericolo dell’Expo a Milano, le truffe alla 488 e il grande sacco dell’emergenza ambientale in Calabria. Un dramma d’intensità campana, se non fosse che i calabresi (residenti) sono in numero inferiore ai soli abitanti di Napoli.

Manuela Mareso (caroredattore di Narcomafie) ha ripercorso la nascita della rivista e del movimento che ha poi portato a Libera, quell’esigenza di colmare una lacuna dell’informazione sul fronte delle tematiche antimafia. Ha poi spiegato la genesi del Nuovo dizionario di mafia e antimafia, scritto a più mani e pubblicato nel corso di tre anni su Narcomafie, poi rivisto, aggiornato e pubblicato quest’anno (EGA editrice, a cura di Manuela Mareso e Livio Pepino). Nel ’93, all’indomani delle stragi mafiose, il primo nodo storico e la prima iniziativa editoriale. Nel 2003 un altro passaggio, un vuoto nell’informazione da colmare con l’approfondimento, di qui l’idea dello strumento dizionario.

Doppio intervento per Caselli e Dalla Chiesa, tra i protagonisti del dibattito serale. Caselli ha alzato gli scudi in difesa dell’autonomia della magistratura, che ritiene attaccata dalle proposte di legge governative. Soprattutto ritiene in pieno contrasto con lo spirito della Costituzione e pericolosissima la proposta di abolire l’obbligatorietà dell’azione penale: “E’ come se, preso atto della lentezza della giustizia, si decidesse di sancirne l’inefficacia invece di potenziarla. Si getta via il bambino con l’acqua sporca. Con il ministro ombra pronto a confrontarsi sul punto”. Ma ha poi aggiunto il nodo dei fondi: anche senza modifiche legislative, la magistratura sarà stoppata dai tagli previsti nel Dpef, ancor di più della blocca-processi (tagli da un quarto a metà delle voci di bilancio, meno 10%di cancellieri e pm, scopertura media del 12,5% degli organici, blocco del turn over, in totale 9,5 milioni in meno nella manovra approvata nel Cdm). Ultimo pericolo, il blocco totale dell’informazione e, paradossalmente, l’insindacabilità dei pm: Caselli ha rilevato che il divieto di pubblicare atti relativi ad un’inchiesta non solo rende l’informazione impossibile fino al processo (quindi per anni), ma addirittura lascia il pm padrone assoluto durante l’inchiesta, senza alcun potere di controllo da parte di chicchessia. Un’eresia.

Ottimismo della volontà in Dalla Chiesa: in un certo senso l’informazione non è mai stata libera, oggi il pendolo è tornato al punto di partenza, gli spazi di libertà sono ristretti, ma Libera è cresciuta ugualmente, la reazione è possibile. Il neo presidente onorario dell’associazione di don Luigi Ciotti non si lascia scoraggiare dal divieto di pubblicare intercettazioni e documenti relativi alle indagini in corso: la disobbedienza civile è uno strumento legittimo. E ancora, se i mafiosi usano i paradisi fiscali, noi useremo i paradisi dell’informazione: basta ad esempio registrare un sito a Copenaghen per aggirare l’ostacolo. Una guerriglia (civile) usando le armi della rete.

In serata nuova linfa al dibattito, che spazia sui temi dell’antimafia. A partire dai beni confiscati, con i “vedremo” di Antonio Maruccia (commissario di governo per i beni confiscati), rispetto alle promesse del ministro Maroni sull’istituzione dell’agenzia unica. Intanto, Maruccia precisa come, diversamente da quanto propagandato, l’istituzione dell’agenzia non sia inserita nel decreto sicurezza, e addirittura un emendamento in tal senso presentato al Senato è stato bocciato dalla maggioranza. Nonostante Maroni successivamente abbia ribadito la volontà positiva del governo e la sua personale. Si vedrà, appunto. Ad aggiungere carne al fuoco è Francesco Forgione. Il presidente uscente della commissione parlamentare antimafia ha ribadito i punti del proprio programma, a cominciare dall’attacco all’inamovibilità nella pubblica amministrazione.

E ancora don Luigi Ciotti, voglioso di evitare cadute di tensione dopo il successo della Giornata della memoria a Bari (100mila presenze il 15 marzo scorso). Occorre profondità, ha ribadito nel corso della tre giorni, riempire di contenuti l’impegno antimafia, occorre continuità. Poi ancora sensibilità, una dimensione sociale irrinunciabile che dovrebbe portare in automatico a legare la lotta alla mafia alla lotta per i diritti sociali, per i migranti, per i morti sul lavoro, “per gli ultimi”. Resta il problema dell’individualismo dilagante, dell’asse politico-finanziario tra Roma e Milano, “della finanza che continua a dettare la linea alla politica”. Resta l’imperativo morale: ognuno deve fare la propria parte, sapendo che “i valori non si svendono”, ma anche che “serve metodo e costanza per evitare che l’educazione alla legalità diventi una semplice moda”. Mettere radici per far crescere sempre di più l’albero della legalità e della responsabilità, per evitare che la tempesta lo porti via.

Ultima parola a Roberto Morrione, pronto a rilanciare la campagna della Tavola della Pace, alla quale prendono parte organicamente Libera e Libera Informazione: un’iniziativa a viale Mazzini, sotto la sede della Rai, il prossimo 22 ottobre, per rivendicare spazio alle questioni sociali, alle tematiche civili, in definitiva per chiedere al servizio pubblico di diventare tale. Oggi come quarant’anni fa, con il sit-in degli operai durante l’autunno caldo. Ottimismo della volontà anche in questo caso: sarà dura – ha chiuso Morrione- ma occorre provarci.

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