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3. Dai cravattari al tavolino, l’ascesa delle cosche autonome

Di Alessio Magro il . Dai territori, Lazio

Cosche imprenditrici, con una parvenza di rispettabilità. Famiglie che vivono in pace, sanno mettere da parte le differenti origini, fanno affari senza pestarsi i piedi. Una struttura criminale che viene da lontano quella del Lazio. La Quinta mafia è cresciuta sotto traccia, per le sottovalutazioni e per la sua natura camaleontica.

In principio fu l’usura. Lo strozzinaggio è la prima attività delle famiglie della mala con ambizioni mafiose. È la forma di accumulazione originaria, capitali da investire in affari più redditizi per compiere il salto di qualità nel mondo delle mafie.

Lo ricorda spesso il principale esperto di Quinta mafia, il magistrato della Dna Luigi De Ficchy: “La criminalità organizzata nel Lazio nasce con l’usura”. Muove i primi passi con uomini come Frank Coppola. “Tre dita” aveva la sua base a Pomezia. A pochi chilometri dalla Capitale. Terreno fertile per il latitante Pippo Calò, mafioso siciliano dalla vista lunga. Promettono bene quei ragazzi della banda della Magliana – è stato proprio De Ficchy ad avviare le prime indagini, alla fine degli anni 70 – Calò se ne accorge e decide di puntarci sopra.

È la prima trasformazione. Il primo passo. Alla banda di Enrico Nicoletti occorre però affermarsi, servono soldi per finanziare una struttura organica. Ecco che i cravattari, figura mitica della romanità, vengono inseriti in un’organizzazione, per trarre il massimo profitto dallo strozzinaggio. Ecco che il noto usuraio Balducci di Campo de’ Fiori si mette in affari con Nicoletti. L’usura diventa un’attività mafiosa.

La banda supera il primo esame. Arrivano i soldi dei siciliani, da riciclare. Passano da Roma tutti i più grandi criminali del Paese. Passano da Roma le trame eversive, faccendieri e 007 deviati, il caso Moro e le bombe dello Stato. La banda della Magliana esegue. Cresce e si rafforza, ma presto implode.

Nel frattempo, latitanti e boss trasferiti in soggiorno obbligato si sono dati da fare per esportare l’onorata società. S’insediano le cellule criminali, le cosche gemelle legate alla famiglia d’origine. Ai primi nuclei pioneristici si è presto affiancato un esercito criminale, uomini in fuga dal piombo. Palermitani, ma soprattutto reggini, terrorizzati dalla seconda guerra di ‘ndrangheta (’86-’91).
 
Dal 1984, con la parabola discendente della banda di Nicoletti, le cosche meridionali diventano autonome, iniziano a fare da sé. La Quinta mafia prende corpo. È una mutazione genetica. Ci sono i traffici illegali, ci sono capitali da investire nell’economia legale, si punta agli appalti e all’edilizia. Servono professionisti dal volto pulito, imprenditori che facciano da paravento, banche compiacenti, magistrati e inquirenti che chiudano un occhio, politici che proteggano gli affari comuni. Una zona grigia, presupposto della Quinta mafia.

Anche nel Lazio si adotta la politica del “tavolino”, ben spiegata ai giudici dal ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, Angelo Siino. Anche nel Lazio nasce una sorta di centro decisionale, un comitato d’affari che pianifica le attività e divide la torta. Tra i convitati, tanti, troppi insospettabili. (TERZA PUNTATA)

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