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In centomila in marcia per la Memoria

Di Stefano Fantino il . Dai territori, Puglia

A Bari i brividi corrono lungo la schiena nonostante il calore di un sole abbacinante. In piazza della Libertà suona lo strumento musicale di Giuseppe Di Matteo, rapito e barbaramente ucciso da Cosa Nostra per “punire” il pentimento del padre, strumento regalato dalla madre a Don Ciotti. E la commozione, malcelata dai tanti occhiali da sole, in una giornata che della primavera aveva tutti i connotati, è un sentire comune, un impegno di centomila persone, accorse in Puglia per la tredicesima giornata in ricordo delle vittime di tutte le mafie, in cui nomi vengono scanditi dal palco. Intorno, il silenzio.

Punta Perotti è un ampio spazio verde ora, inaugurato per l’occasione da migliaia di persone, di giovani che ne fanno un parco ancora prima della sua apertura ufficiale (fissata per il 2 aprile ndr). Assediano il piccolo palco delle autorità che raduna i convenuti prima di dare il via al corteo, ancora una volta organizzato da Libera e Avviso Pubblico. Solo l’enorme spazio vuoto, ancora spartanamente rinfoltito di verde, ricorda che qui ci erano 300 mila metri cubi di cemento e di speculazione edilizia, invece di scuole, ragazzi, volontari che stanno per mettersi in marcia.

L’obiettivo è raggiungere la centrale piazza della Libertà, percorrendo il lungomare Nazario Sauro, per giungere a sfiorare i limiti di quella propaggine che adagiata sul mare, racchiude dentro di sé la città vecchia. Mentre le scuole giunte qui in Puglia hanno modo di presentarsi sul palco di Punta Perotti, il corteo inizia il suo cammino. In testa i familiari delle vittime, seguiti dai ragazzi europei che, radunati nel barese per il progetto FLARE (Freedom, Legality And Rights in Europe), hanno attivamente partecipato alla giornata della memoria, precedendo nel corteo la società civile che da tutta Italia ha invaso Bari. Centomila persone si vocifera. Se la sede stradale piuttosto ampia nega un colpo d’occhio di sicuro impatto, la lunghezza del corteo non lascia invece dubbi sull’alta partecipazione. Lo si nota risalendo dal fondo per raggiungere la testa, sfilando a mezze maniche, tra gli studenti muniti di striscioni, cartelloni e immagini. Numeri a parte è infatti il clima che si respira ad essere davvero intenso, intriso di volontà di cambiare, nel ricordo doloroso di un passato da non dimenticare ma da utilizzare per fare attivamente la nostra parte.

Quando l’asfalto termina e il lungomare sta per incanalarsi dentro le strade che conducono al centro, il corteo si imbatte nell’arca di pace, posta su uno spiazzo prospicente il mare. Mosaico della legalità: la costruzione in legno è infatti addobbata con le mattonelle recanti ognuna il nome di una delle vittime ricordate dalla lettura dei nomi che durante la marcia scandiscono il passo delle persone arrivate qui a Bari. Persone come il padre di Antonino Agostino, che nella solennità del momento mi vedo passare innanzi. Ieratico nello sguardo, la inconfondibile barba lunga e bianca. In mano la foto del figlio nel giorno delle nozze. Ma è un attimo. Poi in poco tempo siamo in centro, davanti al palco allestito in piazza della Libertà.

Lo spazio è ancora per le testimonianze delle vittime. Dopo la giornata del quattordici, con diversi intervento a ricordo dei propri familiari, anche oggi dal palco sono i parenti a rifondare la memoria perché, come ha modo di ricordare Luigi Ciotti, questa è la giornata di tutti, ma soprattutto la loro. La politica? Presente ma giustamente messa in secondo piano. E quando interrogata oppure costretta a intervenire, capace di mostrarsi fortemente critica. «Non parlo come Nichi che molti di voi hanno avuto modo di conoscere, parlo come Istituzioni per chiedervi scusa. perdono per spettacoli indegni. Per chi ha messo su relazioni indecenti, per coloro che dopo una condanna hanno festeggiato con dei cannoli». Queste le istituzioni il 15 marzo in Puglia, capaci di coprirsi il capo di cenere e fare ammenda. Le parole di Nichi Vendola vanno incontro ad applausi sentiti, visi quasi increduli di fronte alle accuse forti che il presidente della Regione muove alla politica stessa.

E le lacrime non solo solo quelle del pubblico, ma anche quelle di Don Luigi Ciotti, pubblicamente mostrate dalle telecamere che indugiano sul suo volto commosso e affaticato dalle emozioni. Prima delle parole finali che il sacerdote, presidente di Libera dedica alla società presente: «Se l’Istituzioni devono fare il loro compito, noi non dobbiamo essere da meno. Noi dobbiamo saperci sporcare le mani, non limitarci a denunce di sorta. Per questo voi che siete qui siete non più società civilè, ma società responsabile». Ciotti prosegue poi non ignorando anche altre gravi componenti dell’anomalia italiana come la situazione dell’informazione, disconnessa e asservita, e quella altrettanto delicata dei morti sul lavoro, che recentemente ha toccato anche i territori limitrofi a Bari. Vergogne in accettabili per cui serve ancora di più costituirsi come un NOI responsabile, perchè possiamo dirci, conclude Luigi Ciotti, citando un prete pugliese, Don Tonino Bello: «costruttori di pace, ma anche di giustizia e legalità».

I nomi vengono scanditi con regolarità, venti, venticinque alla volta, da persone diverse. Il silenzio e gli applausi si avvicendano e rincorrono nella piazza della prefettura, ricolma di gente. Società civile si usava dire, società responsabile nell’infuocato ormai si dice nel mezzogiorno primaverile barese.

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