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Chioschi a confronto

Di Vincenzo Figlioli il . Dai territori, Sicilia

E’ stato lo
scandalo dell’autunno marsalese e proprio a novembre, il principale argomento
di conversazione dei bar del centro storico ha trovato finalmente spazio sulla
prima pagina di un mensile cittadino. Non parliamo di mafia, né di racket, né
del trasversalismo che domina la politica locale. L’argomento in questione è la
collocazione di un chiosco per la vendita di giornali nell’angolo basso di
Piazza della Repubblica, considerata a ragione il salotto della città.

“Io ho
ricevuto tutte le autorizzazioni possibili – mi spiega il proprietario – e
ammetto che il colore non piace neanche a me. Ma l’hanno voluto così quelli
della Sovrintendenza”. Peccato che tutto ciò non interessi ai soci del Circolo
di Cultura che staziona di fronte il chiosco, proprio nella posizione in cui
orgogliosamente questi ultimi si sono sempre seduti d’estate, per leggersi il
giornale all’aria aperta, e abbandonarsi placidamente a qualche commento sui
turisti che tra luglio e agosto affollano la piazza. Magari, tra una
barzelletta da caserma e un’improvvisa espettorazione fuori stagione. Una
tradizione che adesso rischia di venir meno proprio a causa dell’incauta
iniziativa dell’edicolante. E allora ci stava che gli umori del salotto
cittadino trovassero legittimazione su uno dei periodici più antichi della
Sicilia.

Perché a pensarci bene, la storia è gustosa e avrebbe incuriosito
anche Leonardo Sciascia, che dei circoli nostrani e della loro umanità diede
una mirabile descrizione ne “Le parrocchie di Regalpetra”. Ma ci stava anche
perché l’informazione, in provincia di Trapani, asseconda sempre la voce del
popolo. Specie quando a farlo, si corre il rischio di dispiacere, al massimo, a
un povero edicolante. Tutt’altra storia per un’altra costruzione quantomeno
discutibile che da qualche anno troneggia impavida in Piazza della Vittoria,
altro sito a cui i marsalesi sono sempre stati affezionati. Tra l’antica Porta
Nuova e l’elegante Villa Cavallotti, spicca infatti un mega-gazebo in plastica
e plexiglas, ideale prosecuzione dell’unico bar della piazza. Come il chiosco
di Piazza della Repubblica, anche questa costruzione è sempre stata molto
contestata in città. E anch’essa ha comunque avuto – per quanto incredibile –
tutte le autorizzazioni possibili. Ma nessuno ha mai sollevato il caso. Il
proprietario del bar in questione, un certo Carlo Nicola Licari, detto “Cola
Baffo”, era infatti un personaggio piuttosto “chiacchierato”. E a dimostrare
che quelle sul suo conto non fossero semplici malignità, ci ha pensato una
delle ultime operazioni delle forze dell’ordine locali, che hanno portato in
carcere prima il titolare e poi i nipoti, con l’accusa di associazione mafiosa.

La storia del chiosco e del gazebo rende bene la situazione generale
dell’informazione locale: sebbene il trapanese sia considerato lo zoccolo duro
di Cosa Nostra in Sicilia, c’è un’atavica difficoltà da parte del giornalismo
nostrano ad approfondire certe tematiche. Perchè, difficile negarlo, i soldi
che girano sono pochi, gli editori non investono e pagano una miseria i
cronisti e allora molti pensano che non valga la pena rischiare di ritrovarsi,
nella migliore delle ipotesi, con i copertoni della macchina tagliati, per un
articolo pagato pochi euro. Televisioni e radio vivono quasi esclusivamente
delle commisse del Comune o della Provincia. Per tale ragione, in più di un
caso, l’atteggiamento prevalente da parte degli editori è quello di parlar bene
di un’amministrazione finchè si dimostra generosa verso la propria emittente.
Nel caso in cui si dovesse verificare un’improvviso stringer di cinghia, la
stessa può diventare fermamente anti-governativa dalla sera alla mattina. E
senza alcun imbarazzo.

La gente conosce bene il meccanismo e lo guarda con un
misto di indignazione e tenerezza, come si faceva a scuola con i compagni di
classe che le combinavano grosse, ma che alla fin fine era divertente ammirare
nelle loro scorribande. In realtà la situazione non è irrecuperabile come
appare. Perché sia nei quotidiani principali, che nelle realtà editoriali
minori, nelle radio e nei new media, ci sono professionalità spesso frustrate,
ma che sono riuscite a mantenere la schiena dritta con grande dignità.
Nonostante gli stipendi da fame, gli articoli censurati o congelati dai
direttori perché ritenuti scomodi, e la difficoltà ad ottenere interviste o
semplici dichiarazioni dai politici più in auge, quelli che parlano soltanto
con i giornalisti che vogliono loro e che si fanno negare al telefono dagli altri.

Nonostante tutto ciò, loro ci sono. Pronti a riscattare una categoria con il
loro impegno, coltivando la speranza di una stagione diversa per l’informazione
locale, che attraverso un nuovo giornale, un rinnovamento nella direzione di
quelli esistenti, e soprattutto con la progressiva maturazione di un’opinione
pubblica sempre meno residuale, possa loro consentire di lavorare sotto auspici
diversi.

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