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Trapani, nasce l’antiracket ma Confindustria latita

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Sicilia

L’appuntamento è per il
20 dicembre. Davanti ad un notaio trapanese verrà firmato lo Statuto
dell’associazione antiracket ed antiusura di Trapani. Sono trascorsi
decenni da quando in Sicilia è cominciata “a macchia di leopardo”
la rivolta contro estortori, mafiosi e cravattai, ma Trapani era rimasta,
per tutti questi delinquenti, “isola felice”. Tre sole associazioni
antiracket, Marsala, Alcamo e Mazara, incapaci pure di riuscire in certe
occasioni a costituirsi nei processi, finite isolate e non considerate
pure, come nel caso di Alcamo, per qualche contraddizioni in termini
parecchio evidente, presidente fu nominato un imprenditore che in aula
aveva negato l’evidenza dei fatti a proposito di una estorsione subita,
la stessa associazione era nata con la firma di un deputato regionale
poi condannato con il patteggiamento per il concorso mafioso. Nel frattempo
in tutti questi anni sono stati parecchi gli imprenditori indagati,
arrestati o avvisati, altrettanto quelli condannati, perché con Cosa
Nostra facevano affari, non pagavano il racket ma una sorta di quota
associativa.
E’ la storia della mafia trapanese che soprattutto è
impresa, gestisce l’imprenditoria e l’economia, pilotando gli appalti
e assumendo il controllo di attività. Ecco a Trapani in questi anni
non è mancata la rivolta contro il racket, ma la presa di distanza
da questo fenomeno più vasto del condizionamento. D’altra parte come
è possibile potersi aspettare simili reazioni se per decenni la mafia
a Trapani non è mai esistita, a sentire alcuni politici e amministratori.

In che clima nasce la associazione antiracket?
E’ il clima che i magistrati
della Dda di Palermo, Roberto Scarpinato e Roberto Piscitello hanno
appena raccontato ai giornalisti pochi giorni addietro a proposito di
una indagine che non riguardava le interferenze dei mafiosi in un grande
territorio, ma in una semplice sia pure importante piazza di Marsala.
La piazza è quella di Porta Nuova, l’ingresso al centro storico,
a ridosso di un teatro che per nome e magnificenza (esteriore) ricorda
i fasti imperiali e vicino a quel capo Lilibeo dove Garibaldi ed i mille
vennero a sbarcare, per liberare l’isola dai Borboni con l’aiuto
pure dei picciotti e degli uomini di onore. Questa piazza di Marsala
aveva cambiato nome, la targa era rimasta, ma tutti sapevano che quella
era “piazza Cosa Nostra”, da quando un certo Carlo Licari lì aveva
aperto un bar e a suo modo ostacolava la concorrenza, passando alle
vie di fatto, bruciando locali ogni volta che questi si aprivano invadendo
il suo territorio.
L’ultima storia di mafia che viene dalla provincia
di Trapani è dunque questa, circoscritta a pochi metri quadri, ma come
ha detto il procuratore Scarpinato, citando Hegel, “il demonio si
nasconde nel dettaglio”, per dire, “è una piccola storia che dentro
però si porta tutta la storia della prepotenza e ferocia di Cosa Nostra”.
La magistratura antimafia e il commissariato di Polizia ha registrato
questo accadimento non decenni addietro, non è un fatto datato, ma
è dei nostri giorni, di questo 2007 durante il quale in Sicilia, a
partire da settembre e a partire da Caltanissetta, è cominciata la
«rivolta» contro il racket mafioso e questo per iniziativa dei maggiori
«storici» taglieggiati, ossia gli imprenditori. In provincia di Trapani,
nello stesso periodo, chi subisce la richiesta estorsiva continua a
non denunciarla e nega l’evidenza.
C’è in Sicilia un territorio che
non vuole affrancarsi dal fenomeno mafioso, che sceglie «la diserzione
civile» o che pretende che ci sia uno Stato «che faccia sempre da
balia», e questo territorio è la provincia di Trapani. Questa indagine
non ci racconta soltanto la spavalderia mafiosa di Licari che dal carcere
è riuscito ancora a difendere, con i suoi nipoti, la piazza da altre
“invasioni”, ma anche della reazione non adeguata delle vittime,
qualcuna cerca di nascondere anche le intimidazioni subite, uno di quelli
che non vuole parlare è un medico.
E’ pesante lo spaccato che si
coglie nella terra del super boss latitante Matteo Messina Denaro. «Mentre
a Palermo e Caltanissetta assistiamo al risveglio della società civile
contro la mafia – ha detto il procuratore Scarpinato – nel Trapanese
continua ad esserci un’omerta ottocentesca, una vera diserzione civile.
In questo territorio c’è una borghesia mafiosa che frena la democrazia
economica e non si registra alcuna reazione, con un sottosviluppo culturale
che continua ad imperversare». «Purtroppo – ha osservato il sostituto
della Dda di Palermo, Roberto Piscitello – nel Trapanese, e lo dimostra
anche quest’ultima operazione, nemmeno quando si pone il teste reticente
dinanzi al rischio di una accusa per falsa testimonianza si riesce ad
ottenere un veritiero racconto dei fatti. E questo accade anche con
gente che ha studiato, con liberi professionisti, con medici. Serve
una volta e per tutte che qualcuno dica di avere “la schiena dritta”
e dica basta ai mafiosi e a chi si atteggia a fare il mafioso».
«Qui – ha evidenziato Scarpinato – siamo dinanzi a storie ottocentesche,
come se la democrazia non fosse mai nata, c’è sodddisfazione da parte
del magistrato per l’operazione condotta ma da cittadini restiamo amareggiati,
abbiamo voglia di raccontare storie diverse». In questo contesto nasce
l’associazione antiracket ed antiusura. Per scrivere lo statuto sono
occorsi 4 mesi, e questo la dice lunga su questo parto che se fosse
stato per davvero naturale e spontaneo non doveva avere bisogno di tanto
tempo, ma soprattutto le riunioni sono andate avanti senza tenere conto
della realtà continuano a restare rimossi i racconti di alcuni imprenditori
che nelle aule di Tribunale in questi giorni hanno raccontato di come
la mafia non ieri ma oggi continua a condizionare l’imprenditoria
della provincia di Trapani. E il procuratore Scarpinato chiosa: “Su
Confindustria di Trapani c’è un grosso interrogativo per i silenzi
che continua ad opporre. Mi chiedo quando anche qui saranno perseguite
le stesse scelte presa da Confidusutria di Caltanissetta”.

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