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Un pastore a Forcella

Di Alessandra del Giudice il . Campania, Dai territori

Ti è simpatico
da subito Don Angelo, con il suo viso fatto di segni che raccontano,
ancora prima che se stesso, la gioia di vivere e di fare il suo
mestiere.

Sono le 19.00
e la messa è appena finita. Alcuni ragazzi e ragazze lo aiutano a spegnere
le luci della chiesa. Sono di casa. Don Angelo ha per tutti una parola
di incoraggiamento, una battuta pronta.

Non sembra
siano passate soltanto due settimane da quando il nuovo parroco si è
insediato a S. Giorgio, una chiesa del quartiere Forcella, tristemente
famoso per i suoi clan camorristi, primo fra tutti quello dei Giuliano,
e per la solare Annalisa Durante, rimasta uccisa per errore in una sparatoria.

Don Angelo
raccoglie un compito difficile, quello di sostituire il giovane parroco
Don Merola noto alle telecamere come il “prete anticamorra”.

“Arrivo
dove già c’erano i riflettori accesi, ma il mio stile sarà completamente
diverso.- Chiarisce subito Don Angelo-. A me è sempre piaciuta
l’immagine evangelica del lievito, che non fa rumore, non ha colore
diverso dalla pasta e scopri che c’era solo quando la pasta è cresciuta.
Infatti sono diventato oggetto dei media solo dopo quindici anni a S.
Anna di Palazzo (Quartieri Spagnoli, una delle zone ad alto rischio).
Per qualcuno la logica conseguenza sarebbe stata il Vomero o Posillipo
(quartieri “bene”); una modalità poco adatta per chi ha deciso
di fare il prete. Per cui ho vissuto questa nomina come un notevole
attestato di stima.- Poi, continua ironico – Sto pregando molto
per il parroco di Scampia (altro quartiere degradato dove impera la
camorra) che si conservi in buona salute, perché non vorrei che dopo
i Quartieri Spagnoli e Forcella mi mandino lì. Così faccio il
“terno”.

Dietro l’allegria
di Don Angelo c’è un duro lavoro: “Appena sono arrivato a S. Anna
ho fatto l’esperienza della processione di S. Anna che inizia alle
quattro del pomeriggio e finisce alle dieci di sera. La statua viene
portata a spalla per i vicoli del quartiere. Ogni tanto la statua veniva
messa a terra dai portatori in punti particolari. Quando ho chiesto
spiegazioni mi hanno detto “Là hanno sparato a tizio, là abita caio,
l’altro è parente di…”. Certi atteggiamenti sono stati tollerati
se non assecondati nei decenni precedenti dalla Chiesa. Il lavoro di
purificare la superstizione che inquina la fede autentica è estremamente
faticoso.

Chi mi ha guidato
è stato O’ Mast ( in dialetto: il capo operaio), io sono solo
uno strumento. Se siamo pescatori di uomini, io non pesco con la rete,
ma con la lenza. Se gli infilo l’amo in bocca non scappa più. Con
la rete ne prendi tanti ma ne perdi tanti.”

Quando chiamiamo
il problema con il suo nome: “camorra”, Don Angelo si fa serio:
“Sono convinto che ci siano due camorre: una camorra che estorce,
uccide e quella è un problema dello Stato, solo lui ha gli strumenti
per intervenire, e poi una camorra che è la mentalità camorrista,
quella che ci fa sentire un po’ più furbi degli altri, che ci fa
credere di saper trovare la soluzione originale, quella di vivere
border line
sulla legalità, con un piede di qua e uno di là: questo
è l’humus dove la prima mette radici. Essere cristiani è successivo
all’essere uomini, allora se noi non insegniamo prima ad essere pienamente
uomini è inutile parlare di cristianesimo.

A Forcella
manca tutto perché c’è una situazione di degrado culturale, di ristrettezze
economiche, di assenza della presenza efficiente dello Stato, una situazione
ottimale per la camorra. Le istituzioni vengono qui solo quando si devono
far vedere, poi spariscono pretendendo di essere riconosciute come tali.
Io ci ho messo quattro, cinque anni per diventare parroco di S. Anna.
Non basta la nomina, solo quando la gente ti vede ogni santo giorno
riconosce il tuo ruolo. Se tu Stato non ti fai vedere tutti i santi
giorni, perché ti devo riconoscere?”.

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