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Una chiave per riaprire il Caso Rostagno

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Sicilia

Fra videocassette, documenti scomparsi e una misteriosa chiave, concessi altri sei mesi di tempo alle indagini sul delitto di Mauro Rostagno; sociologo giornalista ucciso a Trapani nel settembre dell’88. Sembra indicibile, impalpabile, introvabile, quasi inodore la verità che da diciannove anni si nasconde fra le carte giudiziarie dal ‘99 passate in mano alla DDA di Palermo. Dallo scorso 5 ottobre, la figlia, Maddalena Rostagno e più di seimila persone in tutta Italia hanno chiesto, tramite una raccolta di firme, lo stanziamento di una task force per riaprire le indagini.

Nel provvedimento che respinge l’archiviazione il Gup, Maria Pino, chiede ad Antonio Ingroia, il sostituto procuratore che coordina le indagini, di “risentire pentiti che hanno già deposto sul delitto e di ascoltarne altri, di ripetere le perizie e la ricostruzione della dinamica del delitto, di riprendere l’analisi di tutti i reperti disponibili”. Dovranno inoltre proseguire gli “accertamenti bancari e societari sui conti esteri dell’ex Saman”, la comunità di recupero fondata a Lenzi (Tp) da Mauro Rostagno, dalla compagna Chicca Roveri e dall’amico Francesco Cardella; oggi più che mai un sospettato nell’ombra. Sul versante delle accuse l’unico indagato per l’omicidio rimane il boss mafioso Vincenzo Virga, già in carcere, mentre la posizione dell’editore Puccio Bulgarella, da anni accusato di falsa testimonianza, è stata archiviata per prescrizione. In un contesto stagnante, in cui dopo diciannove lunghi anni d’indagine è ancora aperto un fascicolo contro ignoti, pesano come un macigno, le parole di Ingroia quando afferma che “l’inchiesta ha subìto depistaggi interni” (La Sicilia, 11 novembre 2007, Giacalone).

Eppure a distanza di quasi vent’anni dall’omicidio, si fa strada un nuovo elemento: una chiave. A segnalarne l’esistenza è il corposo e dettagliato memoriale che Carla Rostagno, sorella del sociologo giornalista, ha depositato in opposizione alla richiesta di archiviazione. La sorella di Mauro a Libera Informazione dichiara: “ Non sono io ad essere in possesso di questa chiave, mi sono limitata a segnalarne il ritrovamento. Non si sa per il momento a cosa possa corrispondere (si ipotizza una cassetta di sicurezza, ndr) ma qualcosa aprirà, di questo ne sono certa”.

La mente vola subito ai documenti mai ritrovati, “interi quaderni fitti di appunti ordinati”, menzionati da un suo stretto collaboratore, ma anche alle immagini di quel traffico d’armi che secondo alcuni Mauro avrebbe registrato nei pressi dell’aeroporto di Kinisia, zona interessata in quegli anni dalla presenza di una base siciliana di Gladio e da esercitazioni militari prima negate e poi ammesse. Pungono come spilli i ricordi dei suoi colleghi di lavoro ad Rtc. In molti hanno dichiarato che da un certo momento in poi Mauro chiese una telecamera personale perché “c’erano delle cose da riprendere e doveva farlo da solo”; gli stessi hanno poi ribadito l’esistenza di una videocassetta con la scritta “non toccare” che Rostagno portava sempre con se.

Un cameraman ricorda che il giornalista avrebbe riversato il contenuto del video dal formato Umatic a quello Vhs. Questo vuol dire che da quel momento le cassette con la scritta “non toccare” sarebbero in realtà diventate due, l’originale e la copia. Entrambe risultano scomparse dalla notte dell’omicidio. Si apprende inoltre, dalla testimonianza della compagna, Chicca Roveri, dell’esistenza di una terza cassetta audio, mai più trovata dalla notte dell’agguato. La triplice scomparsa, questo è singolare, sarebbe avvenuta in contemporanea, dalla sede di Rtc, dalla “stanza delle Nuove” dentro Saman e dalla borsa di Rostagno posta sotto il sedile di giuda dell’auto in cui venne ucciso il giornalista.

Come sia stata possibile una tale azione coordinata senza alcun testimone è, questo si, un mistero. Una videocassetta avrebbe portato all’eliminazione del giornalista e, secondo alcuni, sarebbe diventata un’assicurazione sulla vita di qualcun altro. Chissà se l’ha mai cercata, Francesco Cardella, grande amico di Mauro, guru e manager della “Holding Saman” che oggi, a quasi vent’anni di distanza dalla morte del suo miglior amico, nonostante i numerosi punti oscuri della vicenda che lo vedono a più livelli coinvolto, viaggerebbe liberamente con passaporto diplomatico maltese, per conto della città che adottò Bettino Craxi e altri esponenti del Psi, a cui Cardella era molto legato.

Un giornalista, Sergio Di Cori, ha rivelato che Cardella ed altri esponenti del partito quella videocassetta l’avrebbero vista. Qualcuno invece l’ha raccontata in un sogno: “ho visto uomini scendere da un aereo e scaricare cassette di armi”, si legge in un breve scritto di Renato Curcio, con il quale Mauro aveva un rapporto speciale e una corrispondenza fittissima, anche da Trapani. Parte di queste lettere sono state rese pubbliche. In alcune si evince che il giornalista di Rtc, aveva messo il naso in affari che, come testimoniano anche i racconti dei pentiti da Sinacori a Milazzo, erano al centro degli interessi di Cosa nostra, in quella zona. Traffici d’armi, di droga, di rifiuti? Interrogativi che silenziosamente si sono incrociati nelle carte della commissione d’inchiesta per la morte della giornalista del tg3 Ilaria Alpi e del cameraman Hrovatin uccisi in Somalia, nel 1994, mentre stavano indagando su traffici di rifiuti tossici e molto altro.

I due giornalisti, il 15 novembre scorso, insigniti dal presidente della Repubblica della medaglia d’oro al valore civile e alla memoria, avrebbero incontrato, sette giorni prima dell’agguato, l’uomo di fiducia di Cardella, assaggiatore d’eroina per conto della mafia. “Jupiter” così era soprannominato Giuseppe Cammisa, svolgeva missioni umanitarie, probabilmente con le Garaventa 1 e 2, due navi acquistate da Cardella dalla marina militare svedese.

Ilaria come Mauro, voci spente dal tempo e dai numerosi ostacoli, talvolta anche politici. Un esempio su tutti. Il sostituto procuratore Antonio Ingroia inviò nel 2002 un consulente a Roma per trovare elementi utili sugli intrecci fra Cosa Nostra, malapolitica e trafficanti d’armi. Giannuli, il consulente di fiducia di Ingroia, sta ancora aspettando. Come testimonia un’ Ansa del dicembre 2002, l’ accesa reazione dell’ex presidente Francesco Cossiga che recita “”Quanto è vero Dio, gliela farò pagare” si oppose a queste indagini. E’ emblematico. Nel nostro Paese, alcune verità indicibili, stazionano lì, in bilico, su quella linea di confine oltre la quale l’informazione non sempre si spinge e che una parte della classe politica continua a tracciare.

“Ho cambiato molte volte idee – diceva Mauro – cercando di restare sempre fedele a me stesso”. Una fedeltà che l’ha ucciso in una Sicilia in cui si poteva morire anche per molto meno in quel difficile decennio di fine anni ’80. Oggi si fa avanti la speranza che quella stessa fedeltà qualcuno o qualcosa la racconti per lui.

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