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Spampinato 35 anni dopo

Intervista di Stefano Fantino il . Dai territori, Interviste e persone, Sicilia

Alberto Spampinato, come detto, fa il giornalista. Non è un detective, ma questo non importa. Il suo obiettivo è trovare un movente, una causa scatenante per decifrare l’enigma dell’assasinio di suo fratello. L’occasione, dopo anni di disagio sfociati nell’autocensura, è un libro scritto a più mani, “Vite Ribelli”, dove il giornalista ripercorre la vicenda del fratello Giovanni.

Chi era Giovanni Spampinato? Un ragazzo di sinistra, avventuratosi in qualcosa più grande di lui come hanno sostenuto in tanti dopo l’omicidio, oppure uno scrupoloso giornalista, professionale e appassionato, finito stritolato dalle maglie del potere, dell’informazione, della giustizia?
Giovanni era giovane, ma non uno sprovveduto; era un ragazzo di sinistra, impegnato, che viveva il giornalismo in senso etico e politico. Scrivere di lui è come rendere giustizia alla sua memoria, altrimenti vi è il rischio che la sua morte venga ricordata come quella di un giovane alle prime armi, incapace di relazionarsi con un qualcosa che non avrebbe dovuto mettere in discussione.

Intende i traffici illeciti nel ragusano da parte di elementi dell’estrema destra italiana?
Esatto. Altrimenti una memoria distorta ricorderebbe Giovanni come un “comunista” alla caccia dei neofascisti. Ma i traffici che mio fratello documentava, la presenza di elementi di spicco dell’estrema destra, ad esempio Stefano Delle Chiaie, nel ragusano, non erano che il frutto del suo lavoro, presso un giornale come “L’Ora”, da sempre votato all’inchiesta e alla denuncia.

Proprio sul “L’Ora” suo fratello diede dei ragguagli importanti a riguardo del delitto Tùmino.
Si, Giovanni fu l’unico a parlare in maniera approfondita del caso. Io penso che tutti i giornalisti, per quanto accorti e giudiziosi, dopo un po’ sentano la necessità di non far rimanere nella penna una notizia. Giovanni l’aveva sempre fatto, con articoli documentati. Dopo l’assassinio dell’Ing. Tùmino fu l’unico a scrivere che era stato ascoltato nell’ambito delle indagini Roberto Campria, il figlio del presidente del Tribunale di Ragusa.

Lo stesso Campria che avrebbe ucciso suo fratello qualche mese dopo, accusandolo di averlo perseguitato, per poi consegnarsi alle forze dell’ordine. Quanto ha complicato le indagini questa apparente linearità, quella cioè di un caso di cui si conosceva il colpevole reo confesso?
Dopo l’omicidio di mio fratello, il caso Tùmino venne ascritto a ignoti, quando sia gli elementi che portava Giovanni negli articoli sia le indagini di polizia conducevano in direzione del Campria. Il fatto che si fosse costituito non portò gli investigatori a sondare le cause ultime del delitto e soprattutto a collegarle al delitto dell’Ing. Angelo Tùmino che rimase insoluto. Un delitto lava l’altro, dico sempre. Lasciar perdere il precedente delitto non ha permesso di ricostruire la vicenda di mio fratello, intimamente legata alla morte dell’ingegnere e alla situazione politica che Giovanni stesso descriveva.

I legali non hanno battuto la pista “politica” durante il processo per il delitto Spampinato, perchè?
A posteriori posso dire che fu un errore. Vista la tradizione della mia famiglia, ci eravamo affidati anche a professionisti orbitanti intorno al PCI per il processo. Vista la limpidezza dei fatti, probabilmente per non aprirsi a critiche di strumentalizzazione, fu lasciata perdere una approfondita analisi “politica” partendo dagli articoli di Giovanni sul neofascismo nel ragusano. Si era convinti che la limpidezza della situazione avrebbe portato senza sforzo al raggiungimento dell’obiettivo. Mentre analizzare meglio il caso sarebbe stato necessario.

Il processo si concluse con una pena (peraltro non totalmente scontata all’opg di Barcellona Pozzo di Gotto ndi) non particolarmente severa, in un ambiente probabilmente compromesso dalla vicinanza tra l’imputato e il presidente del tribunale?
Gli diedero uno scapaccione. In fondo era figlio del presidente. La questione doveva essere sollevata dall’inizio , l’inchiesta doveva essere trasferita. Ma non solo la pena ridotta fu un oltraggio a Giovanni. In una Ragusa dove né informazione critica, né magistratura né politica funzionavano, il caso di mio fratello rappresentò un punto di non ritorno per una società che si scopriva vulnerabile. Gli abusi di ufficio, i depistaggi, per non collegare il delitto Tùmino al delitto Spampinato non furono nemmeno toccati dalle comunque sparute manifestazioni che a Ragusa recitavano un “mea culpa” collettivo per aver lasciato solo un giornalista come Giovanni.

Giovanni dunque si scontrò contro dei poteri forti per aver esercitato la sua professione; lei cosa ne pensava del giornalismo all’epoca, capiva le esigenze di suo fratello?
Io all’epoca non ero particolarmente interessato. Studiavo ingegneria a Pisa, non ero proprio un ingegnere tout court, ero impegnato in diversi campi, ma non riuscivo a seguire Giovanni su quel terreno. La sua morte mi ha segnato parecchio. Ho abbandonato gli studi e ho preso il posto di Giovanni a Ragusa, lavorando per “L’Unità” e “L’Ora” prima di spostarmi a Palermo. Volevo capire il suo mondo, inserirmi nel suo mondo.

Da giornalista di grande esperienza quale è diventato cosa pensa dell’informazione fatta oggi in Italia. Ci si scontra come un tempo coi poteri forti e ogni spiraglio è precluso?
Oggi come allora alcune notizie è praticamente impossibile farle passare. Spesso si incappa nella censura, del direttore o dell’editore. Ma questo non deve mai costituire un alibi. Per questo credo che sia dovere del giornalista denunciare le censure, altrimenti delegare agli altri la colpa di una mancata pubblicazione diventa una soluzione di comodo. Un’altra considerazione è questa: ci illudiamo spesso di poter raccogliere e raccontare un numero molto alto di fatti e avvenimenti, fermi i casi di cui parlavamo sopra. Ma anche questo non è vero. Sorrido con amarezza quando parliamo delle limitazioni subite da Anna Politkovskaja nel suo lavoro. Perché non è così anche il Italia? Si parla della Russia come qualcosa di alieno dove le libertà di informare sono mutilate. Anche qui da noi esiste una linea di confine tracciata dai poteri forti oltre cui non ci si può avventurare. Pena l’esclusione, l’allontanamento, infine anche l’eliminazione. Primo dovere del giornalista è anche riferire questo, dell’esistenza di questo limite.

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