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Il pizzo della ‘ndrangheta e quello dei dirigenti pubblici”

Di Francesca Chirico il . Calabria, Dai territori

di Francesca Chirico

VIBO VALENTIA – Dall’importo di ogni appalto doveva preventivamente sottrarre il 9 per cento, da dividere tra la cosca dei “Viperari” di Serra San Bruno e la pubblica amministrazione. Spartizione non equa. Se la ‘ndrangheta delle Serre, infatti, si “accontentava” del 3 per cento, i locali apparati politici e amministrativi, per non rallentare gli ingranaggi burocratici, pretendevano il 6. Doppia morsa che alla fine non ha lasciato scampo alla società di Giuseppe Masciari, soprattutto dopo la decisione del 47enne imprenditore del Vibonese di bussare la mattina del 22 novembre del 2004 al portone della Compagnia dell’Arma dei carabinieri per raccontare ufficialmente sei anni di estorsioni, concussioni, furti, danneggiamenti e minacce.

Immaginiamo con parole non dissimili da quelle che l’imprenditore edile Luigi Napoli ha usato davanti agli investigatori di “Odissea”, descrivendo una villa in costruzione incendiata a Capo Vaticano e le richieste del clan La Rosa da far convivere con quelle dei dirigenti degli uffici comunali. Iscritto all’albo dei costruttori dal 1984, otto fratelli, il papà Francesco imprenditore edile che alla morte nel 1988 lo lascia amministratore delegato della “Masciari Francesco sas”, la storia di Pino Masciari è quella di un successo professionale ridotto in fallimento (non metaforico) dalle sanguisughe spuntate con i primi contratti, i primi appalti.

“Il 3 per cento alle ‘ndrine di Serra San Bruno, il 6 per cento agli uffici e l’invito a pensare alla famiglia quando mi rivolgevo alle forze dell’ordine”, raccontò Masciari davanti alla Commissione nazionale antimafia descrivendo i due tipi di ritorsioni cui lo espose il rifiuto, maturato attorno al 1990, di aprire ancora i rubinetti: incendi, furti, danneggiamenti dagli uomini della cosca Vallelunga di Serra, rallentamenti nello stato di avanzamento dei lavori da parte dei tecnici comunali. Nell’aprile del 1993 il messaggio si fa più chiaro con il ferimento del fratello.

Un anno dopo, licenziati gli ultimi 58 dipendenti, l’imprenditore si presenta dunque ai carabinieri. Che sul piano professionale non ci fosse ormai più nulla da perdere lo dimostrano le cifre della procedura fallimentare avviata nel 1996: nonostante contratti per 25 miliardi di vecchie lire, la “Masciari Francesco sas” presenta infatti un passivo di 134 milioni di lire che i giudici ritengono diretta conseguenza delle pressioni estorsive subite dall’azienda. Poi arrivano i processi: sei procedimenti tra Vibo Valentia, Crotone e Roma nei confronti delle 42 persone (anche un giudice amministrativo) rinviate a giudizio sulla base delle denunce del testimone che dal 10 ottobre del 1997 con la moglie (una dentista affermata) e i due giovani figli è sottoposto a programma speciale di Protezione.

“Mai, come in questo caso – ne commentò la storia il parlamentare ulivista Giannicola Sinisi – noi possiamo dire di essere davanti ad un autentico testimone di giustizia, ovverosia ad una persona del tutto estranea al mondo criminale e alle vicende che possono riguardare condizionamenti e di natura ambientale, una persona che ha avuto il torto, l’unico torto di essere stato un imprenditore in una terra assai difficile nel cuore della Calabria, nelle Serre, e di avere voluto dare occupazione e lavoro”.

tratto dal Domani della Calabria

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