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Don Tonino Palmese: «La stampa campana guardi ai giovani»

Di Stefano Fantino il . Campania, Dai territori, Interviste e persone

di Stefano Fantino

L’informazione sulle tematiche della criminalità in che modo è fatta, in Campania? La trova efficace?
Purtroppo è una informazione che deve soddisfare soprattutto un’esigenza di cronaca che spesso scade nella semplice descrizione dei fatti e chiaramente mancano gli approfondimenti e la capacità di indagare a fondo le cause. Non a caso si aspetta la dimensione “convegnistica” per fare questo, ma sarebbe importante per il lettore avere la possibilità di entrare nel vivo dei problemi altrimenti la sola e semplice cronaca determina quell’atteggiamento di sfiducia, di rassegnazione e anche di cultura ”forcaiola” che ormai sta attraversando tanti cittadini dei nostri territori.

Ritiene che spesso nei media si parli di camorra anche per atti di microcriminalità urbana generalizzando o facendo leva sulla capacità storica della camorra di indirizzare questo tipo di criminalità?
C’è un filo decisamente sottile che divide le due cose. Se non si tratta direttamente di camorra, quel territorio contiene il fenomeno, lo controlla, lo assolve e lo giustifica pure. Chiaramente non è tutto riconducibile a questo comando diretto da parte della criminalità organizzata, però molte azioni criminose sono sicuramente il risultato di un territorio controllato dai camorristi. A questo punto stabilire quanto c’è di diretto contatto tra quell’atto efferato e la camorra, credo sia un po’ riduttiva come ricerca perché di fatto, al di là del quantificare quanta dipendenza ci sia, parziale o totale tra le due cose, è un dato di fatto, confermato da magistratura e forze dell’ordine, che in questo momento diversi quartieri siano controllati dalla camorra.

La figura di Saviano, tramite le descrizioni della stampa e la percezioni dei giovani, è vista come una persona da seguire oppure il suo isolamento attuale induce i ragazzi a valutare positivo ma estremamente pericoloso il suo atto di denuncia, quindi molto distante dalla possibilità concreta di prenderne spunto?
Te lo dico subito. Saviano è considerato uno sconfitto e basta, un eroe ma un eroe sconfitto e isolato. Fa paura l’idea che parlare di certe cose possa determinare una condizione di vita da carcerato. I giornali se ne parlano, lo fanno per due motivi: o per dire che lui è uno sconfitto e tratteggiare la sua figura di recluso sotto scorta o per farne il quadretto iconografico.

I ragazzi in Campania cosa possono avere dunque dall’informazione cosa non hanno, come si rapportano con i giornali?
Sotto questo aspetto il problema è drammatico perché i giovani non cercano l’informazione e l’informazione non cerca i giovani. C’è un forte distacco tra queste due realtà. Il massimo che può accadere è che un giovane prende i tabloid (free-press ndi) all’entrata della metropolitana, ma stiamo già parlando di una fase ”evoluta”. Da questo punto di vista la comunicazione dovrebbe investire, proprio a livello di mercato, investire sulla possibilità di essere in contatto col mondo giovanile. Però se investono per proporgli futilità allora è inutile questo investimento. Al momento dalla mia esperienza di contatto con migliaia di giovani posso dire che per loro l’informazione è una notizia di agenzia ma non un approfondimento, una lettura, non è una conversazione e nemmeno un dialogo. Questo non implica che i ragazzi non siano in grado di farlo. In positivo posso parlarti di un’esperienza che abbiamo concluso in questi giorni, quella dell’adozione da parte di alcune scuole di una vittima di mafia. Questo ha messo in luce la capacità dei ragazzi di ricostruire una biografia che aveva come finalità capire come le mafie uccidano la normalità, non uccidono l’eroe, sebbene alcune vittime siano state eroiche; ma le morti di molte persone hanno suscitato indignazione e stupore nei ragazzi che hanno capito che le mafie uccidono la normalità.

Parlano di vittime e informazione, mi viene in mente Giancarlo Siani. Come persiste la sua memoria tra i ragazzi?
Parlando con il fratello Paolo qualche tempo fa, mi aveva assicurato che il lavoro di ricordo è ancora molto pervasivo.
C’è un elemento positivo nella memoria di Giancarlo Siani perché la rete associativa e istituzionale che l’ha sostenuta è sempre stata molto forte. Nonostante l’imbarazzo de “Il Mattino”, dove Siani lavorava come abusivo, dopo la sua morte, abbiamo sempre un grande giornale dietro di lui che ciclicamente ne ricorda la figura e ne fa una sorta di bandiera. Dietro Siani c’è stata dunque una realtà associativa, una famiglia, un giornale che ha contribuito a coltivare il piacere di questa memoria.

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